scritta da JLordran
Il mio nome è Edoardo Leone, ho 28 anni, sono un giornalista italiano e ho vissuto con mia madre a Roma fino a 4 anni fa. Ho finalmente raggiunto Firenze alla ricerca del mio misterioso padre scomparso. Mia madre non mi ha mai detto molto di lui tranne del fatto che si tratta di un uomo riservato e con una missione di cui anche lei sembra essere all’oscuro. Fino ad ora l’unica cosa che so è che si è separato con mia madre poco dopo la mia nascita, per poi sparire letteralmente nel nulla.
In Toscana ho trovato il mio attuale lavoro ma sono alla costante ricerca dell’articolo della vita, quel racconto che possa finalmente soddisfare quel mezzo fascista del mio redattore. Gli sono sempre stato sulle palle, ma stavolta se non gli porto qualcosa di interessante, mi taglierà fuori sul serio.
Sapevo di strane voci riguardo un’abitazione abbandonata qui in paese, dove fu consumato un vero e proprio omicidio, ma le informazioni relative ad esso non sono mai trapelate: volevo saperne di più poiché trovare delle informazioni segrete poteva essere la chiave per uscire da questa crisi. Ho quindi deciso di varcare la soglia dell’ingresso ormai interdetto dalle autorità. Mi sentivo un delinquente ma avevo bisogno di informazioni. L’edificio era ormai già ripulito anche se, qualcosa aveva catturato la mia attenzione. Un quotidiano di origine straniera era nella spazzatura del cortile, per metà intatto.
- “A due ore dal centro di Mendoza, in Argentina, ai piedi di una montagna, sorge un sentiero circondato da una fitta e scura foresta che in passato ospitava una ricca fauna, oggi scomparsa. Alcuni testimoni raccontano di una villa abbandonata dall’architettura decadente ormai diventata il centro di un mistero.
La villa, soprannominata dalla comunità locale come "La Mansion de los desaparecidos" (La Villa delle sparizioni), ha una lunga storia di misteriose sparizioni. Costruita negli anni '30 da una famiglia di nobili che ha trovato la sua fortuna nell’edilizia, la villa è stata per anni soggetta a numerose perquisizioni a causa di attività illecite. Alla fine degli anni '50 però, la famiglia venne accusata e condannata all’ergastolo. Tuttavia un male sconosciuto, li stroncò improvvisamente.
- L’articolo è firmato da un certo José Bruno Massera.
Ricordo che Francesco De Santi scrisse un articolo riguardo la chiusura dell’orfanotrofio degli orrori a Firenze ed ebbe un gran successo. Le idee incominciavano a formarsi velocemente nella mia testa, avevo finalmente le ispirazioni che cercavo: l’articolo dell’orfanotrofio a Firenze ebbe un gran successo, ma questa storia in Argentina sarebbe potuta addirittura andare oltre. Quindi decisi di fare le valigie e andare oltreoceano, rassicurato anche dalla mia mediocre conoscenza della lingua spagnola.
Sono le ore 15:31, mi trovo in Malargüe, in Argentina, nella mia camera d’albergo a scrivere la testimonianza della mia grande impresa. Questo posto rappresenta la mia unica speranza; amo questo lavoro e darò il meglio di me per tenerlo stretto, anche se questo significa approdare in questo lurido posto senz’anima. Il tempo non passa mai, in questo posto sembra non succedere mai nulla, e a suggestionarmi ancor di più, c’è il mio orologio fermo, probabilmente scarico. Non c’è paragone con la mia Firenze, ovunque mi giro vedo solo grigio, rocce e paludi.
Dopo aver pranzato, ho passato ore a camminare e a chiedere informazioni riguardo la fantomatica villa delle sparizioni, ma sembra che nessuno voglia rivolgermi parola. È palese che la gente vive in uno stato di omertà assoluto: sarà superstizione? Non sono mai stato un tipo religioso e soprattutto non credo a queste assurde voci, ma vale la pena indagare.
Con l’imbrunire del cielo ho deciso di dirigermi in un emporio per acquistare una cassetta di scorta per il mio audio registratore e una torcia per l’esplorazione, non si sa mai.
L’emporio ha l’aspetto di un’attività in procinto di fallire, è fatiscente. Ho incontrato in fila per la cassa una giovane madre con la sua bambina, tanto bella quanto triste. Non mi sono trattenuto dal chiedere cos’abbia; il suo imbarazzo l’ha portata a nascondersi dietro la madre che a sua volta si è allontanata da me.
- “Che ho fatto?” mi sono chiesto.
Nell’attesa del mio turno alla cassa, raccolgo il giornale locale dove si accenna ad un incidente aereo consumatosi nelle ore precedenti:
- “L’incidente del 13 Ottobre? Ma è oggi? Non ne sapevo nulla”
- “A causa delle condizioni atmosferiche avverse, l’aereo diretto in Cile è atterrato all’aeroporto di Mendoza per partire il giorno successivo. La seconda partenza è stata sconsigliata ma per motivi finanziari, il volo non poté essere rinviato. Verso le 15:00 inoltrate di oggi, a causa di alcune turbolenze l’aereo scende di quota nonostante i motori al massimo, fino a trovarsi a pochi metri dai crinali rocciosi delle Ande. Inutili i tentativi del pilota di virare verso nord: 28 morti sul colpo, 1 in ospedale.
Ho nel frattempo acquistato la cassetta per il mio audio registratore e la torcia, pagati quelli che sono per noi italiani 50 mila lire. Con le rimanenti 12 mila che ho con me, devo farmi bastare la cena. Qualcosa tuttavia mi preoccupa, quel giornale mi ha fatto riflettere:
- “Anche io ho fatto lo scalo a quell’ora, ma non ho visto nessun aereo oltre a quello che ho preso”
Poco prima di uscire dall’emporio, sento due persone parlare di un certo José Bruno Massera scomparso da diverso tempo misteriosamente: la mia curiosità non mi ha tenuto a freno, dato che quel nome era presente su quel giornale a Firenze. Mi sono avvicinato a loro senza destare sospetti, decido di origliare facendo finta di rovistare negli scaffali.
- “Quel giornalista che sparì dopo aver visitato quella villa?”
- La villa in Milagro de los Andes? Non è altro che una diceria.
- Una diceria? Cosa sai di quella storia?
- Beh, ti posso dire quello che si dice in giro: La famiglia Marino trovò la sua fortuna nell’edilizia; tale attività era solo una facciata poiché il dirigente, il Sig. Felipe Marino, era in combutta da anni con un noto trafficante di organi di origini Europee. Fu colto con le mani nel sacco da Massera che per giunta aveva l’abitudine di trascrivere ogni cosa vedesse sul suo taccuino. “E fu proprio questo ad incastrare quella famiglia. Il giornalista è scomparso, probabilmente morto, lasciando però come unica traccia il suo taccuino. Fu inventata una storia dell’orrore per i bambini, ovvero che Massera aveva descritto la propria morte sul suo stesso diario. Inoltre c’erano anche le prove per incastrare per sempre la famiglia Marino. Quel pazzo di Felipe aveva trascinato con sé anche il suo collaboratore Europeo, non volendo cadere in fondo da solo: si dice però, che siano tutti morti poco prima di sbattere in cella, ma le cause sono sconosciute. Forse una Maledizione. “
- “Una maledizione?”
- “Esatto. Ma è una leggenda metropolitana raccontata ai soldati tedeschi durante la seconda guerra. Si diceva che un uomo del paese dalle idee filonaziste, fu rinchiuso in un manicomio nel ’43 affermando che esisteva una maledizione secondo il quale, una persona che non accettava la morte, sprofondava in uno stato di disperazione tale da fargli credere di essere ancora vivo. Secondo lui, l’istinto in ognuno di noi, ci porta lentamente a realizzare quello che non vediamo, ma fu etichettato come pazzo dal momento in cui egli credeva di essere resuscitato per raccontare questa esperienza post mortem. Ovviamente nessuno gli credette. Tuttavia, ogni tanto sembra esserci qualche segnalazione di strani avvistamenti attraverso la foresta”
- “Resuscitato? impossibile”
- “Ti ripeto, sono solo racconti dell’orrore nati per spaventare gli stranieri, nulla di più”
Subito dopo si è presentato un calo di corrente, durato all’incirca una decina di secondi, che ha interrotto la conversazione in un attimo: mi sono girato verso l’uscita, ma al ritorno della luce, tutta la gente presente nell’emporio era sparita. Questa situazione mi ha fatto venire la pelle d’oca, non riuscendomi a dare spiegazioni dell’accaduto, esco di fretta e mi dirigo verso nord.
Quello che è successo mi sembra inquietante, mi allontano di corsa distogliendo subito i pensieri altrove.
Le mie ricerche non hanno mai dato frutti però almeno adesso ho una pista. Dopo aver trovato indicazioni per l’indirizzo che ho ricavato da quei due, ho proseguito lungo la strada per alcune decine di minuti. Ormai si è quasi fatta sera e di questa villa non c’è nemmeno l’ombra. La gente sembra essersi ormai ritirata nelle proprie abitazioni, le strade si sono svuotate. Siamo rimasti solamente io, la nebbia e la fame. Devo mangiare assolutamente. Cercando qualche lira in tasca, mi cadono degli spiccioli; alcuni sparpagliati, ma una cinque lire comincia a rotolare fino a cadere in un tombino. Ormai la stanchezza sta prendendo il sopravvento, quindi decido di ritirarmi.
Il tratto del ritorno sembra stranamente più lungo, ancora non ho visto l’emporio passarmi davanti e comincio a pensare di essermi perso, non ricordo più la strada verso l’albergo. Ammetto di avvertire un po’ di paura, spero di non incappare in qualche malintenzionato.
Improvvisamente una luce alle mie spalle sorge dal fondo della strada, dando finalmente sollievo al mio stato d’ansia: si tratta di un bus di linea. Corro fino a trovare la prima fermata, ho il fiatone e sono stremato, ma farei di tutto per non perdere quel bus.
Finalmente seduto e rilassato, chiedo all’autista se la direzione verso l’Hotel Plateado è giusta, ma quest’ultimo mi risponde appena con un cenno. Non capisco se quello è un sì oppure no, la gente di questo posto mi sembra strana forte, ma a quel punto ho preferito rimanere seduto e continuare a scrivere la mia testimonianza fino a che non avrei scorto dal finestrino il vistoso hotel.
L’autobus si è fermato e sul parabrezza c’è un cartello con scritto “Fine corsa”. Credo di essermi addormentato. L’autista non c’è più, e sono rimasto solo. Alzandomi di fretta dalla sedia, il diario e la penna sono caduti per terra, ho le gambe intorpidite e sento una forte spossatezza. Mi abbasso per raccogliere il diario e noto con stupore che almeno 4 pagine sono già state riempite. Mi sono così perso nella scrittura da non ricordare di tutto questo materiale. Fuori è buio e c’è una forte umidità, sento freddo e incomincio a camminare a passo svelto per riscaldarmi più in fretta. Mi sono fatto strada attraverso un sentiero che sembra mostrarmi in lontananza la luce di alcuni edifici; forse è di nuovo la città. Avrò camminato per almeno venti minuti, tra gli alberi si fa spazio quella luce, che mi conferma ormai la presenza della città. Ormai in procinto di uscire dalla foresta, inciampo in quello che sembra un grosso pezzo metallico bruciato; mentre lo raccolgo per esaminarlo improvvisamente la città cade vittima nuovamente di quel fastidiosissimo black out come quello di oggi. Non si vede più nulla
- “Tanto devo continuare diritto, la strada è spianata”
La fame cieca aveva incominciato a tormentarmi, ho provato a setacciare il mio zaino nella speranza di trovare del cibo distrattamente dimenticato, ma l’ennesima stranezza mi pervade.
- Una torcia? Avevo dimenticato di averne una!
Accendo la torcia ma tutto intorno a me è costituito di alberi e nebbia, ho nuovamente perso la via del ritorno. Il panico sta prendendo il sopravvento ma devo calmarmi. Non posso di certo stare fermo: proseguire è ovviamente l’unica scelta che ho a disposizione. Così faccio, finché non trovo una proprietà abbandonata. Ho pensato subito che sarebbe stato un paradosso bello e buono se si fosse trattato proprio di quella proprietà. Quest’area si trova in uno stato di abbandono e sporcizia totale, composta da stoffe sparse, confezioni di medicinali e cibo consumato. La proprietà di fronte si illumina tutta d’un tratto, e mi fa segno che forse in città sia ritornata la corrente. Risollevato ho pensato che lì dentro abitasse qualcuno, voglio chiedere aiuto, quindi provo a bussare.
La paura è forte e voglio tornare al Plateado. Deciso ormai, mi avvicino alla porta per bussare e chiedere aiuto; non so nemmeno che ore siano, il mio stupido orologio ha scelto il giorno più adatto per smettere di funzionare, ma non ho altra scelta. Spero solo di non incappare in un altro pazzoide.
Nessuna risposta.
- “Busso di nuovo.”
Nessun segno di vita: l’abitazione è così fatiscente che non può essere in alcun modo abitabile.
- “Magari non mi hanno sentito” mi dico.
Provando a bussare più forte, noto che la porta, che è composta da diverse toghe di legno marcio, è aperta; il legno si sbriciola sulle nocche della mano dando segno di imminente cedimento, ormai la mente si è svuotata. Non so spiegare effettivamente cosa ho provato in quel preciso istante; forse un miscuglio tra paura, incertezza e curiosità allo stesso tempo. Quel luogo può sicuramente rappresentare un riparo migliore della foresta, quindi prendo la decisione di entrare e scambiare il diario con il mio audio registratore.
AUDIO 1:
- Edoardo: Mi chiamo Edoardo Leone, mi trovo letteralmente in una selva oscura dove in qualche punto non precisato sorge un edificio apparentemente disabitato anche se la corrente stranamente è ancora attiva.
Edoardo: All’ingresso davanti a me si pone subito un lungo corridoio, non sembra esserci alcuna stanza sui lati.
AUDIO 2
- Edoardo: La struttura esterna dell’edificio non sembra affatto combaciare con l’interno, Sono confuso. Molto probabilmente la nebbia e la fame mi stanno giocando brutti scherzi.
AUDIO 3
- Edoardo: Oltre il corridoio ho trovato una stanza, il cui ingresso sembra essere ostruito da alcuni cedimenti del piano superiore. Provo a muovere i detriti per inoltrarmi.
AUDIO 4
- Edoardo: Dopo un po' di fatica, sono riuscito ad entrare nella stanza che sembra… uno studio medico? No, forse no. Ci sono dei libri di ogni specie, *INTERFERENZA AUDIO* medicina, storia e religiosi: forse era uno studioso. C’è una targhetta *INTERFERENZA AUDIO* consumata su una scrivania dove è possibile *INTERFERENZA AUDIO* leggere solo alcune lettere del proprietario, ma è indecifrabile.
AUDIO 5
- Edoardo: *INTERFERENZA AUDIO* … ho trovato un *INTERFERENZA AUDIO*
AUDIO 6
- Edoardo: Fuori ha incominciato a piovere a dirotto, è chiaro che passerò qui la notte. Intanto ho trovato un diario in quello studio, sembra essere uguale al mio, e non sembra essere firmato.
AUDIO 7
- Edoardo: *Respiro affannoso* Sta succedendo qualcosa di strano, ci sono continui black out, la casa si è trasformata in un continuo corridoio senza uscite, inoltre quel diario che ho trovato è proprio il mio diario!
AUDIO 8
- Edoardo: Il diario è uguale al mio. La cosa più assurda è che anche il contenuto sembra lo stesso! Non capisco cosa sta succedendo, deve trattarsi di un incubo, altrimenti non c’è spiegazione!
- Sul diario sembra esserci altro. Lo leggerò più tardi, devo uscire di qui al più presto.
AUDIO 9
- Edoardo: C’è qualcuno. O qualcosa. Sento qualcuno cantare oltre il corridoio… è una voce stridula, devo andarmene da qui, non ce la faccio più. *INTERFERENZA AUDIO*
AUDIO 10
*INTERFERENZA AUDIO*
AUDIO 11
- Edoardo: Ho corso imboccando diverse stanze, diversi corridoi ma mi ritrovo sempre allo studio di prima… ma stavolta c’è un corpo appeso al soffitto. Al collo ha la targhetta di riconoscimento tipica dei giornalisti, c’è scritto: José Bruno Massera. Le voci erano fondate, quindi. Ha le unghie delle mani scavate, le dita sporche di sangue con tracce di capelli che probabilmente si è strappato dalla disperazione. Credo che lui sia rimasto intrappolato in questo posto come lo sono io ora e forse ha provato a scavare nel legno per uscire, dato i segni che ci sono sui muri e sul pavimento.
AUDIO 12
- Edoardo: Sono chiuso qui da non so quanto tempo, sembra che non ci sia una via d’uscita. Ho perso la calma, sto tremando. Ormai non ho più fame, mi sono bagnato nei pantaloni e non ricordo più niente. Se solo non mi fossi addormentato in quel maledetto autobus! … Forse troverò una risposta in quel diario.
AUDIO 13
- Edoardo: “Il diario è uguale al mio ma… sembra descrivere alla perfezione quello che mi sta accadendo. Ma c’è di più.”
- “Edoardo provò a bussare più forte, ma notò che la porta che era composta da diverse toghe di legno marcio, era aperta; il legno si sbriciolava sulle nocche della sua mano dando segno di imminente cedimento. Egli svuotò la mente e si fece strada nella casa. Era chiaramente in uno stato di confusione, aveva sì paura, ma era più forte il desiderio di dormire sotto un tetto.”
- “Dopo una lenta esplorazione lungo l’intero piano interrato, Edoardo trova lo studio di uno scrittore anonimo il cui ingresso era ostruito dai detriti dell’edificio. Egli si fa strada con forza attraverso i detriti del piano superiore; nello studio trova un diario identico al suo. Riconoscendo il contenuto, Edoardo avverte ansia e panico: la suggestione dovuta alle strane circostanze, lo portano a vedere le allucinazioni e strane presenze.
- Edoardo esclama: “Devo fuggire da qui”
- “Nel diario, è presente un foglio di giornale attaccato alla fine della quarta pagina: parla dell’incidente aereo delle Ande. Edoardo apprende anche se con scetticismo, di essere stato coinvolto nell’incidente. Egli sopravvisse, anche se in condizioni strazianti. Il trauma cranico gli causò continue perdite di memoria oltre alle emorragie. Edoardo Leone perde la vita il 13 Ottobre 1972 alle ore 15:31.”
- “Edoardo, cade vittima di nuove allucinazioni”
AUDIO 14
- Edoardo: Non ci capisco più niente. La testa mi sta esplodendo, vedo cose che non riesco a comprendere”
- Jose Bruno Massera: Fa male accettarla, vero? La morte.
AUDIO 15
- *Respiro affannoso* Edoardo: Cosa?! Per un attimo ho visto Massera. Era un’allucinazione? Voglio andarmene da qui!
AUDIO 16
- Massera: Non c’è modo di fuggire da essa.
- Edoardo: Sta lontano da me!
AUDIO 17
- Edoardo: Credo di essere impazzito. Forse è tutto un sogno? No… e se fosse tutto vero? Che quel diario c’entri con la leggenda di cui parlavano quei tizi? Sembra che il diario abbia la capacità di far avverare il suo contenuto. Che l’abbia scritto io? Ho veramente perso la memoria? Se così fosse, scriverò io stesso la parola fine a questa storia.
- Edoardo: “Infine, Eduardo Leone trovò finalmente l’uscita di quella casa”.
- José Bruno Massera: Quante volte vuoi ancora morire Edoardo
13 Ottobre 1972:
Il mio nome è Edoardo Leone, ho 28 anni e sono un giornalista italiano. Sono le ore 15:31, mi trovo in Argentina, nella mia camera d’albergo a scrivere la testimonianza della mia grande impresa, e questo posto rappresenta la mia unica speranza.
FINE

Narrazioni[]
13 Ottobre 1972 - Creepypasta
Narrazione di NoDreams