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Versione delle 09:15, 20 apr 2019

Quando ero piccolo, mia madre comprò una vecchia fattoria in Colorado. Era la cosa più eccitante che a cinque anni avessi mai visto; la foresta ci circondava in ogni direzione. Una grande insenatura attraversava la proprietà, così pura e limpida che si poteva contare ogni singola pietra sul fondo. Vette frastagliate torreggiavano in lontananza, soffocate dai pini e ricoperte di neve per tutto l'anno.

I nostri campi avevano da tempo ceduto alla vegetazione, ma i vecchi resti del porcile e delle stalle erano ancora in piedi.

La casa colonica, ovviamente, era l'orgoglio del posto: completamente restaurata ed alta tre piani, con persiane in legno, un camino in ogni camera da letto, e un giardino incolto che mi faceva strillare di gioia.

La mia camera era la parte migliore della casa: un piccolo riquadro accogliente nello scantinato con il pavimento in legno, antiquata carta da parati con gli orsacchiotti, e il mio caminetto personale. Lunghe, strette finestre sul soffitto fornivano un primo piano dei giardini in fiore.

Per celebrare la nostra prima notte nella nuova abitazione, mia madre mi accese il fuoco e dormì accanto a me nel mio letto. Si addormentò immediatamente; io, invece, ero troppo eccitato per chiudere gli occhi.

Alla fine, però, lo scoppiettio confortante del fuoco e il respiro costante di mia madre mi cullarono in uno stato di sonnolenza.

Proprio quando ero sul punto di addormentarmi, udii una voce.

"Ciao, piccolino."

Aprii gli occhi.

"Sono Barry,” continuò la voce. Sembrava ovattata, come se provenisse da dietro la parete o da sotto le coperte. "Vedo che ti piace la mia vecchia camera."

Mi accigliai. "Hmm?"

"Vivevo qui. Proprio in questa stanza. Suppongo lo faccia ancora." La voce era calda e gentile, e in una certa maniera antica; mi fece pensare a cabine in legno e vagoni ferroviari.

Sbattei le palpebre assonnato. Misi a fuoco la carta da parati con gli orsacchiotti. Nel mio stato di sogno, associai la voce agli orsetti; dopotutto, non suonerebbero forse gli orsacchiotti caldi e gentili?

"Oh...non intendevo svegliarti."

"Beh, lo hai fatto," sussurrai irritato.

"Mi rammarica sentire questo. Come posso rimediare?"

La carta da parati volteggiò davanti ai miei occhi. Un centinaio di orsetti fluttuavano via su scoloriti palloncini. Un centinaio di piccoli orsetti, che si domandavano come scusarsi.

"Ci sono! Ti racconterò una storia della buonanotte!"

"Okay," mormorai.

Barry si tuffò rapidamente in una poetica favola di un principe elfo e del suo amore umano. Non ricordo la storia, ma rammento come mi fece sentire: disperatamente triste ed in qualche modo tradito.

Scivolai nel sonno con le lacrime che mi impregnavano gli occhi.

Il giorno seguente, mia madre ed io passammo una meravigliosa ed impegnativa giornata. Così impegnativa, infatti, che dimenticai completamente del mio orsetto cantastorie.

Fino a che quella sera non fui sul punto di addormentarmi, fantasticando di attraversare l'argenteo cielo notturno su un mucchio di palloncini.

"Ciao, piccolino," disse Barry con la sua calma, gentile voce.

Cercai disperatamente di ignorarlo, per cadere in un sogno fatto di voli lunari in mongolfiera, ma era troppo tardi. "Smettila di svegliarmi!" mi coprii la testa col cuscino. Questo fu un errore; il gelido lato inferiore mi svegliò ancora di più.

"Mi dispiace," belò Barry. "So che non è carino. È che mi sento molto solo."

Il suo dispiacere perforò la mia irritazione, sgonfiandola come i palloncini che volevo così tanto sognare. "Perché sei solo?"

"Mi hanno abbandonato tutti, molto tempo fa, piccolino. Sono stato solo molto più a lungo di quanto tu non sia stato vivo."

"Mi dispiace," dissi con una piccola, imbarazzata vocina.

"So che è sciocco," continuò, "ma ho passato tutto il mio tempo ad inventare storie. Suppongo di aver sempre sperato che un giorno un bambino sarebbe arrivato per ascoltarle. Ed eccoti qui!" Per un momento la sua voce fu come una luminosa, scintillante bolla, tiepida e dorata. Poi sbiadì e si trasformò in qualcosa di gelido. "Ma tu non vuoi ascoltarle."

"Sì, invece!" mi coricai più in profondità sotto le coperte. "Raccontamene una ora."

"Dici davvero?"

"Davvero."

Barry si addentrò felicemente in un'emozionante fiaba piena di bestie magiche, dei caduti, e mostri umani che cercavano di controllarli.

Mi addormentai prima della fine, la mente piena di visioni su bellissime mostruosità e dubbi eroi.

Questa era la nostra routine, notte dopo notte. Non ricordo i racconti di Barry, ma ricordo le visioni che creavano: dei d'ombra cornuti che donavano l'immortalità in cambio del sangue di innumerevoli innocenti; dipinti incantati, geni mangia-uomini, e demoni evocati per vendicare gli scolari.

Ma come l'anno passava, le storie di Barry perdevano la loro tinta fantasy. Divennero più oscure, più violente, più reali, in qualche maniera. Una in particolare - su un uomo malvagio che si era fatto esplodere metà faccia prima di barcollare in camera sua per spaventare la povera moglie un'ultima volta - mi fece piangere.

"Non ti piace?" chiese Barry piagnucolante.

L'immagine del volto del marito mi riempì la mente: la mascella fracassata, pezzetti di carne sanguinanti che penzolavano, occhi color sangue che sporgevano dal suo cranio. "No," singhiozzai. "Fa paura."

"Beh," rispose freddamente Barry. "Me ne andrò allora, lasciandoti qui. Che ne pensi?"

L'idea di ferire i sentimenti di Barry - povero Barry, che era stato così solo per così tanto tempo - mi faceva male al cuore. "Per favore resta." Un singhiozzo emerse dal mio petto spezzettando le mie parole. "È che sei un narratore talmente bravo, che mi sono dimenticato fosse una storia."

"Ogni cosa è una storia," rispose senza senso. "Anche tu ed io. Devo raccontartene un'altra?"

"Sì."

Mi raccontò di un soldato malato che affogò suo figlio nell'insenatura che si trovava proprio davanti casa mia. "E quando la madre lo vide, raccolse la sua ascia e gli tagliò la testa!"

Trattenni un pianto.

"È accaduto al porcile. Se domani ci andrai, troverai la medesima ascia sotterrata sotto all'albero biforcuto."

Curiosità e terrore mi perseguitarono per tutta la notte.

Al mattino, controllai l'albero biforcuto. Scrollai via uno spesso strato di foglie ricurve. Là, seppellita per metà nello sporco, c'era una vecchia, rugginosa testa d'ascia.

Da quel momento in poi, in nessuno dei racconti di Barry ci fu più un briciolo di fantastico. Ognuno di essi mi lasciava disturbato e ansioso. Giacevo sveglio, fissando la carta da parati con gli orsacchiotti nella speranza che potesse scacciare gli incubi.

Nonostante ciò, fingevo di apprezzare tutte le sue storie. Le poche volte che mi ero azzardato ad esprimere la mia insoddisfazione al riguardo, Barry si era messo a piangere.

Non mi piaceva farlo piangere.

La primavera cedette il posto all'estate, e l'estate si scurì nell'autunno. Una notte di Novembre, mentre il vento scendeva giù dalle montagne e coltri di grandine si schiantavano contro la casa, Barry sussurrò, "Piccolino, ricordi la storia dell'uomo che fece esplodere la sua stessa testa?"

Deglutii; quell'uomo dalla faccia mezza spappolata, con gli occhi insanguinati che gli sporgevano dal cranio infestavano continuamente i miei incubi.

"Ricordi?" ripetette.

"Sì, Barry."

"Voglio mostrarti questa storia."

Le budella mi si contorsero e divennero mollicce. "Non voglio più ascoltare. Scusa."

"Non ascoltare," disse Barry impaziente. "Vedere. Vieni qui, adesso." Veloci, scattanti graffi eruttarono sopra la testata. Mi agitai, immaginando ratti, scarafaggi o chissà cos'altro strisciare tra le pareti.

Invece, una piccola porzione di muro tremò. Affondò, quasi come se qualcosa lo stesse risucchiando dall'altra parte. Poi saltò fuori come avrebbe fatto un Jack nella scatola, producendo una nuvola di polvere bianca che mi arrivò in faccia.

Era un buco. Una minuscola piccola porta. Luce ramata sfarfallava al suo interno. Fui preso dal panico. Fuoco.

"Mamma!" strillai.

"Chetati!" sibilò Barry. "Non è fuoco. Guarda!"

Provai a gridare, ma la paura mi paralizzava. Il mio cuore batteva così forte che faceva male. Mia madre non mi avrebbe creduto. Si sarebbe arrabbiata. Ma perché preoccuparsi? L'avevo fatto per me, dopotutto. L'avevo fatto per divenire amico di Barry, l'unico che aveva.

Per giunta, sarebbe impazzita se avesse visto il buco nella parete.

"Sbrigati e guarda!" sussurrò Barry. "Rischi di perdertelo!"

Ricacciai indietro le lacrime e sbirciai attraverso il buco.

Era camera mia, ma diversa: pareti ricoperte di pannelli in legno e un tappeto arancio bruciato. Pile di tavoli e strumenti artistici adornavano la stanza, e tele riempivano le pareti.

Una donna se ne stava rannicchiata in un angolo, reggendo una grossa tela come se fosse uno scudo. Un uomo sedeva alla scrivania dall'altro lato. I suoi occhi erano grandi ed inespressivi. Una pistola giaceva davanti a lui, scintillante.

I lamenti rotti della donna riempivano la stanza. La luce delle fiamme pareva giocare sulla sua chioma chiara e tramutava le lacrime sulle sue guance in gocce d'ambra. Chiuse gli occhi e mormorò silenziosamente qualcosa - una preghiera, forse. Poi gli sparò al piede, sempre tenendo la tela, per poi correre verso le scale.

L'uomo non si mosse.

Il fuoco scoppiettò, mandando una pioggia di scintille nell'aria. Riflettevano nei suoi occhi come stelle.

Un'ombra si mosse dietro la sua testa, schiudendosi come un ragno appena risorto. No, non dietro la sua testa; fuori dalla sua testa.

Lunghe, attorcigliate zampe esplosero dalla parte posteriore del capo. Si arricciarono attorno alle sue braccia e si intrecciarono tra le sue dita. Poi, manipolandolo come un burattino, quelle braccia lo obbligarono a raccogliere la pistola.

Gli occhi dell'uomo scintillarono passivamente mentre le enormi zampe di ragno gli forzavano la pistola in bocca e premevano il grilletto.

Questi si spalancarono, balzando fuori dal cranio come lisce, insanguinate cupole. Sangue ed ossa e pezzi ondulati di tessuto spugnoso imbrattarono la parete. La lingua dell'uomo penzolò, ondeggiando selvaggiamente assieme ai brandelli di carne rovinata.

Chiusi gli occhi mentre le assi del pavimento scricchiolavano e le porte sbattevano. Piansi nel momento in cui la donna urlò mentre si udiva un secondo sparo.

Non li riaprii fino a che la luce non si spense.

"Non è stato interessante?" chiese Barry avidamente. "Non è stato bello? È la mia terza storia preferita!"

Caddi in un sonno agitato e sognai di sedere a quella scrivania, osservando la luce del focolare riflettersi sulla pistola.

Mia madre notò che c'era qualcosa che non andava. Lo associò al cambio di stagione. Avrei voluto dirle la verità, ma non sapevo come. Era così tremenda, così ridicola. Chi mi avrebbe mai creduto?

Quella notte me ne restai sdraiato lì, sveglio, finchè Barry non arrivò.

"Buona sera, amico mio." Ogni sua sillaba vibrava di eccitazione. "Ho una storia speciale per te stanotte. Una storia da guardare, non ascoltare."

Lacrime spuntarono a lato dei miei occhi. "Non voglio."

"Sì invece. Credimi. Questa è la mia seconda storia preferita di sempre." Picchiettò l'interno del muro. La luce ramato-dorata prese vita all'interno del foro. "Guarda!"

Una piccola, angusta stanza si palesò davanti ai miei occhi. Le fiamme si innalzavano nel camino, illuminando gli attrezzi appesi alle pareti: seghe, pale, asce.

Una donna nervosa lavorava febbrilmente ad un lungo tavolo. Il sudore le faceva apparire la pelle liscia. Un bambino ed una ragazza guardavano da un angolo.

Il bambino stava piangendo; la ragazza aveva un'espressione curiosamente impassibile dipinta sul volto. Stava fissando un punto vicino al tavolo.

Seguii il suo sguardo e aprii la bocca: un lenzuolo imbevuto nel sangue copriva una grossa collinetta vicino ai piedi della donna. Una pallida mano dalle lunghe dita sporgeva da sotto.

La donna si allontanò dal tavolo, rivelando una catasta di arti impilati ordinatamente. Sulla cima si trovava la testa di un uomo come se fosse stata la punta di una piramide: spiaccicata e distrutta, con un evidente pezzo di spina dorsale che gli spuntava dal collo.

"Mangerete," disse pacatamente la donna. Si voltò verso i bambini. Urlai; una corona di zampette nere che si agitavano le spuntava dalla fronte. Crescevano come viticci, protendendosi fuori dalla sua carne e sfiorando il pavimento. "Mangeremo tutti adesso."

Le zampe si intrecciarono attorno alla sue braccia e alla vita. Presero il controllo costringendo la sua mano priva di vita a togliere il lenzuolo. Una ragazza morta vi giaceva. Era difficile da dire - la testa era frantumata, gli occhi rimossi - ma assomigliava alla ragazza nell'angolo. Stessa statura, stessi capelli, stesse braccia lunghe.

La donna sollevò il cadavere e lo fece rotolare sul tavolo. "Questa," disse, "è la migliore delle carni. La mangeremo, e poi congeleremo il resto."

Afferrò la mannaia, talmente intenta nella macellazione che non si accorse quando la ragazza nell'angolo si alzò.

Il ragazzino tirò su col naso. La ragazza si portò un dito alle labbra, zittendolo in maniera fulminea mentre si avvicinava di soppiatto alla parete. Dopo un momento di esitazione, scelse un'ascia.

Inspirò profondamente, girandosi e prendendo la rincorsa in direzione della madre. Il colpo andò a segno, colpendola dietro la testa. Le scure zampe di aracnide si immobilizzarono, per poi fremere.

Dopodiché - mentre la ragazza indietreggiava, strillando - l'enorme creatura esplose dal petto della donna. Cercai di scorgerla, ma l'essere era troppo scuro, e la luce troppo fioca. La ragazzina neppure parve notarla; continuò a tagliuzzare imperterrita mentre la cosa le si attorcigliava attorno cominciando a guidare i suoi movimenti.

Infine essa si allontanò, ansimando. Il sangue le incrostava la faccia e le inumidiva i capelli. I suoi occhi erano grandi ed inespressivi.

"Lindy?" piagnucolò il bambino.

Si voltò, osservandolo cautamente con i suoi vuoti, impassibili occhi. Poi, guidata dal ragno, aumentò la presa sull'ascia ed avanzò.

Chiusi gli occhi, tappandomi le orecchie e cantando ad alta voce per scacciare le grida del bambino e il forte, intenso rumore di carne maciullata dai colpi d'ascia.

Quando la luce finalmente scomparve, tornai nel mio letto e piansi.

"Su, su," disse Barry affettuosamente. "È soltanto un racconto." Qualcosa sibilò e grattò contro il cartongesso. Un secondo dopo, mi toccò la pelle - appuntito e peloso ed in qualche modo lurido, accarezzandomi la guancia.

Tenni gli occhi serrati, addormentandomi piangendo mentre quella orribile, pelosa cosa mi strofinava la faccia.

Mi risvegliai con turgidi graffi su tutto il viso. Mia madre andò nel panico e mi portò al pronto soccorso. Lo diagnosticarono come una forma di auto-lesionismo inflitta durante gli incubi, combinata a possibili allergie.

Dormii nel letto di mia madre per alcune settimane. Barry non ci disturbò. Per la prima volta in mesi, mi sentii al sicuro.

Ma, un'amara fredda notte mentre il vento rombava ed il camino di mia madre scoppiettava -

"Dove sei stato, piccolino?" La sua terribile voce arrivò proprio dal muro sovrastante. "Mi sei mancato."

"Ti prego vattene," sussurrai.

"Non vuoi ascoltare le mie storie?"

"No, Barry."

"Ma," si lamentò, "Sono intrappolato qui. Se ti racconto abbastanza storie, sarò libero. Non vuoi che io sia libero?"

Non risposi. Il lento respiro di mia madre riempiva la stanza. Volevo seriamente svegliarla.

Ma cosa avrei potuto dire?

"Solo un'altra." mi pregò Barry.

Il vento ululava con tale ferocia che scendeva giù per il camino, spegnendo le fiamme.

"Okay," mormorai.

"Oh, ottimo! È la mia preferita! La mia prima, primissima preferita! Corri a vedere!"

La parete si crepò, per poi aprirsi rivelando una minuscola finestra. Luce proveniva da essa. Trattenni un lamento e guardai all'interno.

Era la camera di mia madre: il suo letto, i suoi vestiti piegati in un angolo, boccette di profumo sulla cappa. Vidi noi dormire: mia madre appallottolata sul fianco, io disteso.

Il vento soffiò ancora. Il fuoco vomitò all'esterno. Le fiamme attanagliarono le pareti.

La mia figura dormiente si girò. I capelli si mossero in modo strano. Guardai, paralizzato, mentre braccia nere mi spuntavano dalla parte posteriore della testa.

Crebbero come un groviglio di fiori giganti, strisciando attraverso la stanza fino al camino dove si curvarono attorno ai ciocchi e scattando, spargendo tizzoni per tutta la stanza. Ogni cosa prese fuoco: il tappeto, le finestre, i mobili -

Sopra al letto, aprii gli occhi. Erano spalancati e brillanti ed eccessivamente inespressivi.

Mi staccai dalla finestrella, urlando. Iniziai immediatamente a soffocare: un forte fumo mi scese giù per la gola. "Mamma," tossii. "Mamma..." Le parole mi uscirono sempre più piano, fino a che non riuscii ad emettere alcun suono.

La strattonai. Si alzò, tossendo, ed orientandosi con ammirabile rapidità. Scappammo insieme dalla casa e guardammo, inorriditi, il fuoco devastarla.

Notai delle ombre danzare attraverso le finestre. Incredibilmente lunghe e sottili, come enormi zampe di ragno.

I vigili del fuoco arrivarono e spensero velocemente l'incendio.

Trovarono ossa tra le macerie, così chiamarono dei rinforzi dalla polizia. Mia madre era isterica, e lo divenne ancor di più quando trascinarono i resti su una barella. Era orribilmente deforme, come una bizzarra e assurda decorazione di Halloween: una dozzina di gigantesche braccia si allungavano da un distorto carpace della taglia di un uomo, con in cima un'enorme, granuloso teschio.

Quando la polizia arrivò, però, era svanito: dissolto, forse, in cenere. O forse non vi erano mai state: semplicemente il frutto di un'isteria di massa.

Mi auguro sia così.

Lo spero, ma non ci credo.

Perché qualche volta quando sono molto arrabbiato o parecchio spaventato, avverto i miei capelli spostarsi: muoversi persino, come se ci fosse un'enorme millepiedi. Spesso mi tocco in quel punto. Alcune volte non c'è niente - solo i capelli e la nuca.

Altre invece sento dure, pelose protuberanze, fare capolino dalla mia pelle.

E ora so che un giorno Barry racconterà una storia su di me.

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