Creepypasta Italia Wiki
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- La nostra razza è qui da troppo tempo e noi vi rimaniamo per troppo poco per nasconderci dietro simboli che non intendiamo. A questo punto la tua risposta si riduce a un elementare sì o no. Sì: avremo una spero piacevole conversazione a un tavolo a due, potrei persino offrirti da bere, per il resto della serata. No: me ne andrò da qui senza insistere. -

Circa venti minuti di camminata dopo Jacob era ancora alla ricerca di un albergo. Da solo.

Prese a calci una lattina che rotolò pochi metri più in là sull'umido asfalto.

Spazzatura. Come la sua vita, pensò Jacob tristemente, ormai al culmine. Era stufo. Era pieno.

La sua vita era spazzatura. Avrebbe potuto prenderla se avesse avuto una consistenza, se fosse stata un oggetto qualsiasi, e gettarla dalla finestra. Si sarebbe assicurato che fosse stata la finestra del piano più alto a disposizione. Voleva vederla spiaccicata, frantumata a terra, con i resti sparsi tutto intorno.

Un ringhio gli si formò in viso.

Non riusciva a combinare niente. Con il lavoro. Con le donne. Con sé stesso.

Tutto gli sembrava non suo, come se fosse stato costretto a vedere quel film che era la sua esistenza, legato alla poltroncina, scomoda, del cinema. Non poteva andarsene. Avrebbe dovuto sorbirsi il film fino alla fine.

E come succede spesso nei film, una macchina passò un po' troppo vicino al marciapiede, un po' troppo forte. Il guidatore era felice, la ragazza che da tempo agognava l'aveva chiamato. Di notte. Disperata. Non gli sarebbe ricapitata un'occasione del genere.

Per fortuna Jacob non lo sapeva, altrimenti si sarebbe ritrovato a odiare ancora di più se stesso e l'autista che gli schizzò addosso quasi due litri buoni di acqua grigia.

L'universo non guarda in faccia nessuno, si ritrovò a pensare, fradicio e infreddolito. Ebbe un brivido. Non per il freddo.

Ti travolge. La ruota deve girare. Se ti trovi in uno degli interstizi, il mondo è bello. Se ti schiaccia, il mondo fa schifo.

Su Jacob stava addirittura facendo retromarcia, per come la vedeva lui.

Macinò ancora un centinaio di metri quando sul lato opposto della strada apparve una folgorante insegna, come un momento di insight, quando un tassello del puzzle ti fa capire il disegno della forma completa in anticipo.

Forse gli sembrò folgorante all' inizio, ma più si avvicinava, più si accorgeva che l'insegna non era poi messa tanto meglio del suo stato emotivo quella notte.

Della scritta "Charles The Second" le lettere ancora in funzione erano "Ch" "rles" e "S" "con" di cui una funzionava a intermittenza, come una lucciola morente.

Molto rassicurante, pensò Jacob con sarcasmo, fissando le lettere oscurate.

Bhe, peggio di così non potrà più andare ormai, e, tirando un sospiro che si trasformò in uno sbuffo di vapore nella fredda notte già umida di per sé, si incamminò verso l'entrata.

Era un abbastanza anonimo albergo a 3 stelle, constatò Jacob mentre attraversava l'uscio affiancato da grossi vasi con piante. Non troppo scadente ma neanche troppo elegante. Meglio, non gli sarebbe costato un occhio dalla testa, almeno. E aveva assolutamente bisogno di un letto. E di un po' di tuono prima, aggiunse mentre il prurito iniziava a diventare insopportabile.

Era come se tanti piccoli millepiedi gli stessero percorrendo il corpo da sotto la pelle.

Non osava guardarsi le mani per paura di vederseli lì, a disegnare intricati ghirigori con i loro corpi allungati.

Scacciò il pensiero scuotendo il capo.

Raggiunse la reception, mentre gli stivaletti in stile cowboy calpestavano la moquette rossa.

Guardò con forse un po' troppo interesse i due giovani in divisa alla reception, che parevano addormentati. Comprensibile, vista l'ora.

Sembravano due comuni studenti, entrambi biondi, entrambi della stessa corporatura.

Strinse gli occhi. Erano gemelli. "Insolito" pensò con un sorriso divertito.

Scattarono all'unisono sul posto non appena si accorsero della sua presenza, spalancando i chiari occhi color ghiaccio. Evidentemente l'albergo non doveva aver troppi visitatori notturni o i due erano nuovi.

Ma c'era comunque qualcosa di palpabilmente innaturale in loro. O almeno, così avvertiva Jacob, ma in fondo iniziava a sentire i primi segni dell'astinenza, non aveva tempo per dar adito a sospetti inconsistenti. Inoltre, mai fidarsi di un drogato. Anche, e, soprattutto, se quel drogato eri tu. Probabilmente era solo perché non tutti i giorni capitava di trovarsi in reception due gemelli dall'altra parte del banco.

-'Sera. Vorrei una stanza per la notte, se è possibile.-

I due lo squadrarono prima per qualche secondo, poi uno rispose con uno dei sorrisi più falsi che Jacob potesse ricordare.

- Certamente. -

Gli passò un ingiallito foglio da compilare.

Jacob alzò nuovamente lo sguardo per squadrare i due gemelli che prontamente gli risposero con quei sorrisi che sarebbero potuti essere più veri solo di una banconota da 3 euro. Eppure.

Già, eppure, pensò Jacob compilando il foglio e posando la somma richiesta.

La voglia di tuono fa brutti scherzi. Ti fa vivere cose che non esperisci. Vedere cose che non ci sono.

Con un gesto stizzito ricacciò la biro al mittente che la prese prontamente prima che cadesse.

Non dava l'idea di essere turbato da quella reazione inspiegabile del cliente, anzi, allargò addirittura quel sorriso a trentadue denti non perfettamente bianchi che sembravano serrati con talmente tanta forza che Jacob non si sarebbe sorpreso a scorgere delle crepe o addirittura a vederseli frantumare davanti a se, lasciando al loro posto una cavità insanguinata con bianchi cocci qui e là, rimasugli di un passato migliore e glorioso.

-Numero 30. Secondo piano, quinta a sinistra.
Proferì con un sibilo, il secondo.

Jacob annuì nervoso e si incamminò verso le scale, stringendosi sempre di più nella giacca a vento e iniziando a grattarsi vigorosamente.

I passi venivano attutiti dalla moquette rossa, ma comunque il rumore prodotto era ben udibile, nel cuore della notte.

Tump. Tump. Tump.

Come un tetro tamburo che preannunciava l'inizio del sacrificio, Jacob si avvicinava alla morte.

Una piccola morte, ma pur sempre morte.

Una fuga da quel mondo noioso e crudele. Finalmente avrebbe avuto un momento in cui contava qualcosa, in cui era lui il centro dell'universo, in cui era lui a dettare le regole del cosmo.

In cambio avrebbe sacrificato solo un pezzetto di sè. Un altro. Un affare conveniente, no?

In fondo sì, pensò Jacob.

In fondo sì.

Si tastò la tasca in cui era riposta la piccola scatola di cartone contenente la bustina con la polverina verdina, color wasabi.

Era al secondo piano e stava attraversando il corridoio quando lo sentì, un altro brivido, più forte degli altri. Forse anche diverso, si disse all'inizio.

Lo sguardo gli cadde sulla porta di una camera.

Porta in legno scuro, anonima, come le altre. Ma bloccata da sbarre in ferro orizzontali e verticali, con una seconda serratura nell'inferriata.

Gli salì senza motivo un po' d'ansia, mentre adrenalina iniziava a essere prodotta dalle ghiandole surrenali.

Camera 26.

Scosse la testa, le crisi stavano peggiorando. Doveva assolutamente prenderne.

E poi?

E poi.

Stava scendendo in una spirale da cui difficilmente sarebbe uscito. E se si fosse trovato troppo vicino al centro, bhe, come detto prima difficilmente ne sarebbe uscito. Ma in fondo... cosa importava?

Dei tonfi. E un urlo. Risa.

Di bene in meglio, pensò Jacob. Ragazzi del cazzo. Odio I ragazzi. Patetici illusi. La vita scoprirete ben presto che non è la festa che state vivendo. Forse solo per alcuni.

Arrivato alla 30 avvicinò la chiave alla serratura.

Con i denti stretti in una morsa, forse per l'irritazione, forse per l'astinenza o probabilmente per tutti e due, girò la chiave e la porta si aprì.

Il gelo lo avvolse con fredde dita di ghiaccio, penetrandogli pelle e carne, grattandolo nelle ossa persino, mentre sbatteva la porta dietro di se e la chiudeva con la paura di un ladro di esser colto e di un avaro di esser derubato del proprio tesoro. Nella penombra della stanza al buio si scorgeva un letto, un armadio, un piccolo minibar e un semplice comodino di fianco al letto, con un tavolo provvisto di sedia entrambi in legno sormontato da bianche tende danzanti, come pallidi fuochi fatui levatisi da una tomba.

Accese la luce, ringhiando quasi, maledicendo l'idiota che aveva lasciato la finestra aperta. Probabilmente la donna delle pulizie, concluse, mentre si appropinquava a chiudere la finestra.

Portata a termine l'operazione esalò un sospiro di sollievo. I tremori iniziavano a farsi più forti e l'allucinazione somatica che molti tuonodipendenti considerano il biglietto di sola andata verso la pazzia imperversava ora anche nelle interiora dove sembrava che un groviglio di serpenti stesse facendo festa..

Si sedette tuttavia con relativa calma sul letto, ormai presto sarebbe tutto passato.

Aprì la giacca a vento grigia e dalla tasca interna tirò fuori la piccola bustina con dentro una polverina color verde limone.

Da un'altra tasca estrasse un piccolo tubicino in plastica morbida avvitato a un minuscolo imbuto per il momento tappato, della grandezza minore di una moneta da due centesimi.

Le mani si muovevano rapide e senza esitazioni nonostante i tremori.

Riempì per metà il piccolo imbuto, non voleva esagerare, poi si mise la cannuccia in bocca, stappò e si puntò il contenitore lillipuziano all'occhio destro. Soffiò.

La polverina verde venne sparata nell'occhio aperto, la pupilla si restrinse talmente tanto che per qualche attimo fu quasi cieco da un occhio, mentre veniva assorbita dalla cornea.

All'inizio dava fastidio. L'occhio iniziò a lacrimare. Poi il disagio cessò.

Lasciò andare tutto l'equipaggiamento.

La bocca si aprì.

E venne.

La folgore.

E il tuono.

E dopo esso nulla aveva più significato a parte se stesso. Non era un puntino nell'universo, era l'universo intero. Si chiese come avesse mai fatto a preoccuparsi di qualsiasi problema.

Lui era importante, il più importante. La chiave dell'universo.

Si sdraiò sul letto, vestito, fissando il soffitto, dove rimase.

Un prurito all'avambraccio sinistro.

Strano, pensò Jacob, mi sono appena fatto una dose. Decise di ignorarlo.

Il prurito non passava, anzi, aumentava. Jacob iniziò a preoccuparsi. Ha sempre creduto di riuscire a tenere tutto sotto controllo. Questa era una prova che non era così in fondo. Non sapeva quanto tempo era passato da quando aveva sparato il tuono nell'occhio. Non si sapeva mai.

Imprecò. Se era veramente arrivato a quel di livello di dipendenza era un casino, un gran casino.

Non voleva grattarsi, non lo accettava. E non si grattò. Fino a quando non iniziò ad espandersi a tutto il braccio e divenire quasi insopportabile.

Si sedette e finalmente decise di alzarsi la manica per grattarsi. Pensò di iniziare a scorticarsi il braccio per quanto gli prudeva.

Dopo ciò che vide pensò che non bastava.

Spalancò gli occhi mentre sotto la pelle una miriade di piccoli insetti strisciavano in caotiche traiettorie. C'erano, li vedeva. Certo, poteva essere un'allucinazione visiva e somatica. MA CAZZO, ERANO LÌ.

Iniziò a sfregarsi freneticamente il braccio mentre non sapeva se sperare fosse veramente un'allucinazione e quindi essere a un passo dall'avere un cervello da buttare o sperare che fosse tutto vero, e, a quel punto, non sapeva cosa sarebbe successo.

Continuò a grattarsi con foga e già la pelle arrossata iniziava a stillare bacche di sangue in più punti.

Sudava freddo, tanto. I capelli erano tutti appiccicati al volto.

I parassiti erano ancora lì, tutti lì mentre le unghie andavano più a fondo.

La pelle iniziò a lacerarsi. Vide una piccola schiena bianca segmentata affiorare per un attimo e poi rinabissarsi nella propria carne. Il fetore che si sparse nella stanza era insopportabile.

Gli venne un conato di vomito; ora non pensava più.

Se li sentiva dappertutto.

Corse in bagno con il braccio che spargeva sangue ovunque.

Si vide un attimo allo specchio. Un pazzo. Disperato. Con piccoli rigonfiamenti mobili ora.

Tirò una gomitata allo specchio che si frantumò.

Osservò i propri volti guardarlo con disperazione crescente mentre si chinava a raccogliere uno dei frammenti più grossi.

Tremante prese un gran respiro.

E poi affondò.

Una volta.

Due.

E ancora.

E ancora.

Il sangue iniziò a gocciolare copioso dagli squarci sull'avambraccio mentre i bachi bianchicci continuavano a muoversi e ritirarsi sempre più in profondità.

Jacob continuò a colpire disperato, gli occhi annebbiati dalle lacrime vedevano solo una grossa chiazza rossa davanti a sé, che più che una ferita del corpo sembrava uno squarcio della realtà stessa. Che sanguinava.

In quel momento Jacob volle pregare. Con tutto il cuore... Ma pregare Chi? Cosa?

Rimpianse la fede, che vendeva certezze al modico prezzo del dubbio. Se il prezzo dell'andare avanti era quello, beh... avrebbe preferito starsene fermo... forse.

Ora il coltello improvvisato sbatté forte contro un osso, scheggiandolo. Il dolore si ripercosse dal braccio fino al gomito e poi salendo fino alla spalla, e infine sprigionandosi bruciante ovunque, come un fuoco famelico che ha assaggiato l'inizio di una scia di benzina.

Le forze iniziavano ad abbandonarlo mentre il sangue continuava a sgorgare... quanto sangue... non avrebbe mai creduto di vedere tanto rosso in vita sua.

Cadde in ginocchio pallido e sudato, mentre sentiva aumentare la presenza di corpi estranei nel suo corpo. Lo sguardo cadde su un frammento di specchio... quando lo specchio si frantuma chi raccoglie i pezzi? Chi raccoglie i pezzi?

Ora li vedeva strisciare velocemente sotto la pelle, ora mordendo, tarli della carne, una macchia gli oscurò l'occhio destro, col sinistro vide che iniziava a entrare, mangiando ciò che incontrava, debolmente avvicinò la scheggia che teneva ancora in mano al bulbo oculare. Almeno ne avrebbe portato uno con sé.

Inspirò.

Espirò.

E poi spinse a fondo.

Improvvisamente tutti gli esseri che parevano aver trovato fissa dimora nel suo corpo parvero giudicare che la casa stava crollando perché tutti iniziarono a scavarsi un buco verso l'uscita, l'ultima cosa che Jacob vide era la faccia che iniziò a sprizzare sangue e poi vomitare vermi bianchi da quasi tutti i pori.

Si svegliò urlando, tremante. Gocciolava di sudore gelato. Stette ansimante e immobile per quasi dieci minuti che al contempo gli sembrarono un'infinità e un attimo.

L'aria entrava talmente forte da quasi strozzarlo paradossalmente, reclamata da avidi polmoni, ingordi come non lo sono mai stati in tutta la sua vita.

Il tonfo sordo del cuore che ricordava il ritmo di un doppio pedale spinto al massimo faceva da colonna sonora all'evento.

Dopo una ventina di muniti riuscì a calmarsi abbastanza da alzarsi tremante dal letto e andare verso il bagno a passo incerto.

Continuava a controllarsi le braccia.

Si bloccò all'entrata del bagno. Lo temeva.

Poi si fece coraggio ed entrò a prepararsi una doccia. Ne aveva bisogno, cazzo.

Non gli aveva mai fatto questo effetto il tuono.

E ora un'altra paura, più sottile, si insinuò nel cervello.

Forse stava esagerando?

Forse quello era un sogno sì, ma una specie di segnale anche?

Scosse la testa... Trattenne le lacrime per un po' e poi iniziarono a scendere lentamente. Si spogliò e entrò nella doccia fredda quanto l'artico, ma non gli importava, gli scrosci di acqua gelida avrebbero nascosto le lacrime, forse anche a se stesso.

Dietro quelle lacrime c'era il fallimento.

Il proprio fallimento.

Aveva fallito con la vita.

Tutto ciò che pensava di riuscire a tenere sotto controllo gli scivolava tra le mani come un liquido denso lasciandogli sul palmo nient'altro che qualche pozza con sedimenti di scarto qua e là.

Chiuse l'acqua e tornò alla stanza, senza asciugarsi.

Una folata di vento lo investì strappandogli quasi un gemito e facendogli battere i denti mentre la pelle si intirizziva. Maledetta finestra, pensò Jacob mentre si avvicinava a essa e la sbatteva violentemente per chiuderla. Per poco non la ruppe.

Si sdraiò sul letto aspettando il mattino.

Poi lo sentì. Un sospiro. Rauco. Sibilante alla fine, come quegli ultimi gorgoglianti respiri prima di morire.

Per la prima volta dopo molto tempo si sentì come quando era bambino e aveva appena finito di vedere un film dell'orrore senza farsi beccare dai suoi.

Aveva paura di riaddormentarsi.

L'alba arrivò mentre Jacob era ancora sveglio. Pallidi raggi filtravano dalle tende e gli accarezzavano gli occhi che non parevano più spiritati, ma che conservavano ancora un qualche rimasuglio di terrore.

Decise di alzarsi, per poi dirigersi scricchiolando ancora una volta al bagno. Un'altra doccia non avrebbe fatto male.

Sorrise al pensiero che lavarsi troppo non era salutare. Beh, in questo caso gli serviva proprio dell'acqua fredda. Al massimo non avrebbe usato il sapone.

Uscì che in effetti non pareva più un sonnambulo anche se continuava a chiedersi cosa fosse successo quella notte.

Aveva una sensazione strana, come se qualcun altro fosse stato con lui, che qualcun altro abbia condiviso con lui quel letto inzuppato di sudore. Forse stava sviluppando un caso di schizofrenia?

Cercò di scuotersi di dosso pensieri del genere, non aiutavano.

Un episodio, solo un semplice episodio. Magari il tuono ha reagito con qualche merda che ho mangiato, non si sa mai. Una brutta folgorazione. Sperava fosse così, ma non ne era convinto nonostante tutto.

Sì guardò il braccio.

Subito dopo averlo messo a riposo lo riguardò e trasalì.

Lo stette a fissare qualche secondo. Gli sembrava di aver visto una rete di cicatrici profonde.

Aveva visto.

Ora sembrava tutto normale però.

Sto impazzendo si disse quasi piangendo.

Per fortuna sarebbe stato a posto col tuono quasi un mese, o almeno una settimana se fosse stato proprio sfortunato.

Non intendeva riprenderlo fin quando non ne avesse sentito veramente bisogno, che era più un bisogno psicologico che una vera e propria crisi col tuono.

Uscì dalla stanza e chiuse a chiave la porta dopo essersi sistemato la giacca.

Un urto alle spalle e si ritrovò schiacciato contro la porta.

Scosse la testa mentre seguiva la fila di sette ragazzi di vent'anni circa che ridacchiando e scambiandosi battute scendevano le scale, probabilmente non si erano accorti neanche di averlo urtato.

Quanto avrebbe voluto scambiare i propri pensieri e preoccupazioni con le loro. Avrebbe fatto un patto con il diavolo pur di farlo.

E non gli sarebbe importato che ne avrebbero patito. Voleva solo stare bene.

Perché non poteva qualche volta andare tutto per il verso giusto?

Scese anche lui lentamente le scale, poi, senza nemmeno degnare di uno sguardo i due gemelli, strano che fossero ancora lì e non avessero ricevuto il cambio, gli lasciò la chiave e i soldi per un'altra notte sperando che capissero senza bisogno di spiegazioni. Non aveva proprio voglia di parlare.

Uscì dall'albergo. L'aria era fresca e gli penetrava tra i capelli come la mano di un'amante. Si sentì quasi sollevato.

Ma allo stesso tempo sentì quasi una mancanza, un richiamo.

Forse perché aveva lasciato la roba in stanza? Ma no, la aveva in tasca, e poi non ne sentiva ancora il bisogno, non di quello almeno.

Cercò un'introspezione fruttuosa, dubbioso, ma non ci riuscì.

Stranito si diresse al supermercato più vicino.

Quando aprì la porta del piccolo supermercato, uno scampanellio disturbò la quiete che regnava nel locale del 24h.

Rumori dal magazzino e dopo aver evitato accuratamente l'ultima confezione di budweiser rimasta il commesso sulla sessantina o anche più, probabilmente anche il proprietario, si diresse verso la cassa addobbata da disegni di bambini su dei fogli attaccati, aspettando pazientemente e sorridente che il pallido e sudato Jacob avesse fatto la propria scelta e forse acquistato.

Jacob lo guardò un attimo, poi, come accortosi dello stato in cui era nonostante la doccia quasi si tuffò dietro gli scaffali, guardando senza vedere la merce e pensando a ciò che gli stava accadendo e anche perché fosse lì. Forse del cibo.

Sentiva il richiamo. Doveva assolutamente tornare in albergo il prima possibile, ne aveva bisogno. Ma no, doveva resistergli. Ma perché?

Non poteva vedere che intanto il proprietario aveva abbassato la propria destra sulla 6 colpi sotto il banco. Ne aveva visti di tizi strani e quello era tra uno di quelli che avrebbe o stava per commettere una cazzata. La tensione saliva mentre le ghiandole surrenali rilasciavano adrenalina.

Ma sperava anche che la noradrenalina lo avrebbe aiutato a fare alla svelta la scelta giusta quando ve ne fosse stato bisogno.

Jacob intanto tremava e si teneva la testa tra le mani. Dio, cosa gli stava succedendo?

Non si sentiva più lui, non era semplice astinenza... o sì? Arriva a tanto?

Lui credeva di essere stato attento, ma evidentemente si sbagliava.

Beh, meglio prendere qualcosa, gli disse il suo cervello in un breve intervallo di lucidità. Sentiva quasi... anzi, era un vero bisogno quello di ritornare all'albergo, come se fosse un utero materno.

Prese una scatola di acciughe, la cassa di birra, e un po' di pane. Si diresse quasi a scatti al banco, come se fosse uno di quegli insetti che sfruttano la tensione idrica per spostarsi sulla superficie acquosa.

Dain strinse forte la pistola. Voleva rivedere la sua bambina, anche se ormai aveva ventisei anni e stava per sposarsi. Voleva sbronzarsi al suo matrimonio, voleva insegnare ai nipoti, se non arrivare fino al bere almeno a tirare qualche cazzotto come si deve per difendersi. Voleva vedere tutto ciò. Armò il cane mentre chiedeva:

- È tutto? -

Un tremolio nella voce.

Se Jacob fosse stato in condizioni ordinarie se ne sarebbe di certo accorto, ma quello che aveva davanti Dain sembrava un pazzo furioso, ora aveva preso anche a tremare. Senza neanche rispondere mise velocemente una mano in tasca.

Dain estrasse la pistola da sotto il banco in una mossa fulminea e la puntò alla testa di Jacob. L'unica reazione di Jacob è che smise un momento di tremare e strizzò gli occhi, quasi richiamato al mondo reale. Poi tornò a tremare. Non disse nulla.

-Mani in alto. -

Gracchiò con voce rotta il commesso, anche a lui ora tremava la mano.

Ti prego, non voglio sparare, ti prego, ti prego. Pensava.

Con uno scatto ancor più veloce del primo Jacob estrasse la mano.

Dain chiuse gli occhi. Non ce la faccio pensò.

Dopo qualche secondo udì il campanello della porta.

Aprì gli occhi. Sul banco c'erano della banconote stropicciate pari a cinque volte il valore della spesa e con un rapido sguardo alla porta in vetro scorse il tizio che correva a perdifiato con la spesa in mano, con una strana andatura che suggeriva disperazione. Con le mani tremanti ripose la pistola al suo posto e finalmente tirò un sospiro di sollievo. Quella sera avrebbe fatto l'amore con la propria moglie, anche se era diventata una vecchia arpia starnazzante come soleva dire Dain in ogni occasione.

Jacob non era più Jacob. O almeno, era un altro Jacob in questo momento.

Era un Jacob completamente fuso che correva come inseguito dalle fiamme dell'inferno, stringendo un sacchetto della spesa tanto quasi da affondarsi le unghie nella carne.

Eccolo, l'albergo.

Il suo cuore ebbe un tuffo di gioia... una gioia strana, quasi artificiale.

Prese a correre più forte mentre cercava di zittire la fitta al fianco sinistro.

Spalancò le porte dell'hotel come un tornado tutto sudato e pallido.

Ora si sentiva un po' meglio, sembrava tornato quasi del tutto in sé, e aveva dolori, crampi e fiatone. Si diresse vero la reception dove trovò immancabilmente i due gemelli, sorridenti e per nulla turbati, già con la sua chiave pronta. Strano riuscì solo a pensare. Dopo un po' aggiunse mentalmente che non lo convincevano, non si fidava.

Prese comunque le chiavi senza dire nulla, anche perché non ne aveva la forza, prese l'ascensore sperando con tutto il cuore non si guastasse, ci mancava solo quella. Arrivato al proprio piano andò verso la propria camera. Un brivido lungo la schiena.

Si fermò. Si girò verso la porta con le inferriate, la stanza ventisei. Il tempo parve rallentare mentre fissava la porta in legno. La paura iniziò a crescergli. E iniziò a sentirlo. Un sospiro. Rauco. Straziante. Oddio.

Non riusciva a muoversi dal terrore, qualunque cosa ci fosse lì non era umana, forse neanche di questo mondo di disse. Si sentiva quasi risucchiato da quel buco di serratura.

Con un enorme sforzo di volontà e spinto da quell'improvviso, primitivo terrore, corse alla propria porta, l'aprì con le mani tremanti e poi la richiuse dietro di sé.

"Si prende ma si lascia."

Non seppe perché gli tornò in mente quell'indovinello in un frangente così poco adatto. Chiuse a chiave e solo allora si accorse di essere ancora investito dal freddo come la prima volta. La finestra era di nuovo spalancata.

Iniziarono a battergli i denti mentre gli venne quasi da piangere. Non sapeva che cazzo stava succedendo, né cosa pensare... perché lui... perché, perché...?

La spesa gli cadde di mano. Sentì il rumore di una birra che si rompe, ma poco gli importava. Perché era ancora lì? E dove altro sarebbe potuto andare?

Un passo incerto verso la finestra spalancata, un altro ancora.

La folata di vento si alzò, quasi a invitarlo a desistere dall'impresa.

Con il dorso della mano si asciugò le lacrime che gli rigavano le guance, mentre tirava su forte col naso.

Arrivato alla finestra la chiuse quasi dolcemente, quasi pregandola di rimanere chiusa.

Forse era il brutto tiro di qualcuno? I ragazzi? Sì, quei maledetti ragazzi che si divertivano alle sue spalle, magari anche ora lo stavano guardando da qualche parte... ma se non fossero loro?

I gemelli? Sì erano strani ma...

Ma...

Ma.

Si adagiò sul letto, poi strisciò un po' più in su. Si rannicchiò in posizione fetale sotto le coperte e aspettò che quella sua strana situazione avesse fine, non sapeva più che fare, non capiva più cosa gli stava succedendo. Era un topo in una gabbia, mentre tutto intorno a lui si agitava.

Non si rendeva conto che la gabbia stava rotolando giù da una collina, verso la scogliera a strapiombo su un mare in tempesta.

Freddo.

Aprì gli occhi. Si era addormentato.

Al cigolio della finestra aperta spalancò gli occhi arrossati, ma non osò muoversi.

Il vento sospirava su di lui, quasi accarezzandolo.

Poi un respiro. Rauco.

Jacob strinse i denti, paralizzato dal terrore.

Era Quel respiro.

Si avvicinava.

Il freddo ora si concentrò sulla parte posteriore della nuca. Sentì le coperte muoversi, scostarsi.

Dio, Mio dio. Fa che faccia in fretta, fa che sia tutto un sogno. Ma non lo era, o almeno, se lo era, Jacob vi era intrappolato.

Sentì la più orribile carezza mai provata sul collo, gli fece rizzare tutti i peli del corpo mentre una mano che sembrava fredda come quella di un cadavere lo sfiorava quasi dolcemente. La presa aumentò.

Jacob chiuse finalmente gli occhi, iniziando a farfugliare.

L'odore di urina gli invase le narici quando la sua vescica non resse più.

Poi l'allarme.

La mano esitò un attimo, quasi titubante, poi si allontanò.

Dopo un minuto circa Jacob prese coraggio e voltò la testa di scatto. Deserto.

L'allarme continuò.

Si alzò dal letto, era già vestito, ma il suo volto era orribile, deformato dalla paura e puzzava di piscio.

Corse alla porta, non avrebbe avuto un'altra occasione.

Mentre usciva scorse una ragazza del gruppo ubriaca, appoggiata ancora all'allarme che rideva, gli altri, o almeno quelli che stavano meglio, accortosi che Jacob la stava guardando la trascinarono su per le scale.

Jacob non perse tempo a ringraziare chi gli aveva appena salvato la vita.

Corse giù, i gemelli non c'erano. Probabilmente stavano controllando se vi fosse stato veramente del fuoco. Aprì la porta che dava sulla strada. E si fermò.

Aria.

Aria.

Aria.

Cercò di fare un passo, ma non ci riuscì. Provò ancora. Il suo corpo si rifiutava di uscire.

Ci riprovò, e iniziò a urlare di frustrazione scoprendosi ancora sull'uscio.

Si decise a tornare indietro. I gemelli erano tornati.

Non gli dissero nulla. Loro sapevano.

Sorridevano.

Chiuse gli occhi e agitò le braccia, quasi volendosi pulire da quei due sguardi che erano uno.

Ritornò sempre correndo al secondo piano. Un brivido. Un respiro.

Eccola. Camera 26.

La guardò quasi ringhiando come un cane idrofobo.

Si guardò attorno.

Prese un estintore.

Colpì.

Il respiro dentro la camera si fermò.

Per un momento tutto scese nel silenzio.

Colpì ancora, più forte.

Sentì i due gemelli che iniziavano a urlarsi tra loro, correndo verso di lui probabilmente.

Colpì ancora.

L'inferriata cedette. La aprì con violenza.

Ora colpì la porta in legno. Il respiro roco si fece più forte, e così il passo dei gemelli.

Un altro colpo ancora.

E si aprì.

Si prende ma si lascia.

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Narrazioni[]

Camera_26_-_Feat_Arsenico_Nero_-_CreepyPasta_ITA

Camera 26 - Feat Arsenico Nero - CreepyPasta ITA

Narrazione di La Voce Dell'Alchimista

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