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“Chiamiamolo Fabio” sussurrai a mia moglie, persino io mi sorpresi della morbidezza della mia voce, amavo quel bambino più della mia stessa vita.

Lei mi sorrise mentre lo stringeva al seno e lo allattava, era così bella e noi eravamo così felici, tanto che avrei voluto bloccare il tempo e vivere quel momento per tutta la vita, annuì e mi guardò “Grazie per aver fatto in modo che tutto ciò accadesse” le accarezzai la guancia “Grazie a te amore mio, grazie a te”, presi il bambino e mentre lei si ricomponeva, lo cullai, cantandogli una ninna nanna, si addormentò beato.


“perchè questa piccola merda non la smette di piangere?” urlava frustrata mia moglie, tenendolo alzato, Fabio piangeva e il volto di mia moglie era deformato dalla rabbia mentre lo guardava schifata. Era passato un mese da quando Fabio era nato, e mia moglie aveva iniziato a comportarsi in modo strano, era dimagrita talmente tanto che non produceva più latte e avevo dovuto iniziare a dare da mangiare al piccolo con alimenti sostitutivi, e lei intanto piangeva e urlava, aveva perso interesse in tutto, anche nel bambino, così dovevo prendermi cura di lui e della casa da solo, i miei compiti erano aumentati ma non mi importava, li amavo entrambi.


Le tolgo il bambino, che ancora piangeva, lei bestemmiò, in modo talmente stizzito che io inorridì, la misi a letto con fatica e lasciai la stanza col piccolo in braccio, mi attendeva una notte insonne.


Pulii il sangue dal volto di Fabio con le lacrime agli occhi, in quegli anni la rabbia di mia moglie era aumentata tanto da portarla a fare del male al bambino, inizialmente avevo lasciato correre sui lividi, ma ora non potevo più. Dovevo risolvere le cose. Lasciai il bambino davanti alla cena e mi fiondai nel garage, prendendo delle catene e mi diressi poi nella camera che avevo diviso con mia moglie che ormai non amavo più, quella moglie che da tre anni malmenava il nostro bambino, quella donna che tramortì e legai al letto. L’avrei tenuta lontano dal bambino, costi quel che costi.


Dormivo sul divano ormai da tempo, la camera era oramai diventata la stanza di mia moglie, le sue urla  isteriche risuonavano in tutta la casa, la sua malattia era notevolmente peggiorata negli ultimi anni, e Fabio, il mio bambino, sembrava non avesse risentito della sparizione della madre e delle sue urla, fino ad una sera, dove con la sua piccola voce mi domandò: "Papà, dov'è la mamma?"


lo guardai e le lacrime mi salirono prepotentemente agli occhi, ma mi ricomposi subito e gli risposi: "La mamma è malata ma non preoccuparti, è soltanto una leggera febbre."


Sembrò rasserenarsi, i suoi dolci occhi si liberarono dalla preoccupazione e mi chiese: "Me la leggi la favola della buonanotte?" 


"Scusami bocconcino, ma stasera non posso. Ora vai a nanna. Buonanotte, Fabio." gli risposi, era 

arrivata l’ora della visita serale a mia moglie, e dovevo aspettare che il piccolo si addormentasse.


"Buonanotte, papà." mi rispose sbadigliando.


Attesi venti minuti circa, per smorzare la tensione fumai una decina di sigarette e quando venne l’ora mi recai in camera. La camera che avevo costruito per noi e che ora era diventata la sua prigione. 


Non appena mi vide fece sferragliare le catene che la tenevano legata, mi urlò contro e rise in maniera agghiacciante, che mi scosse da dentro. Dopo averla lavata, cambiata e imboccata del poco cibo che non mi sputava addosso stavo per uscire dalla camera quando : “Lo ucciderò quel piccolo bastardo di tuo figlio, te lo giuro sulla mia anima maledetta” la guardai inorridito, erano le prime parole che pronunciava dopo anni di urla e mugugni “c-che cosa?” balbettai ma lei mugugnò ed urlo quasi fino a spaccarsi le corde vocali, così, sconsolato, uscì dalla stanza, mentre dalla sua gola usciva una risata simile al latrato di un cane.


Ero abbastanza tranquillo, nelle ultime settimane mia moglie non aveva dato problemi, e i miei nervi si erano, a poco a poco, distesi, avevo iniziato a rilassarmi, e lo ammetto ad abbassare la guardia. E forse questo fu il mio errore, me ne pento ancora oggi.


Ero con Fabio, stavamo leggendo “il piccolo principe” un libro che ho adorato e che mio figlio adorava, ridevamo e mentre io leggevo ad alta voce, il mio bambino mi faceva domande.

Forse è per questo che non sentii le catene che si schiodavano dal muro, lo scricchiolare delle scale e la porta del garage che si apriva. La sua risata e la falciatrice da cespugli che si metteva in moto, ero troppo impegnato a ridere con il mio piccolo che in un momento di pausa mi guardò negli occhi e con lo sguardo colmo d’amore mi disse “ti voglio bene papà”


Fu in quel momento che sentì il rumore della falciatrice e la sua risata.


Quella fottuta risata agghiacciante.


Spalancò la porta, teneva la falciatrice in mano, il suo sguardo era folle, spaventoso, omicida.


Il mio bambino le corse incontro e le urlò felicemente “Ciao mamma!” lei alzò la falciatrice e tutto quello che riuscì a fare fu urlare.


“NO!”


il suo urlo straziante precedette l’esplosione di sangue e interiora che mi finì addosso e in bocca, lei rideva, mentre lo faceva a pezzi e mi guardava negli occhi, con il suo sguardo folle.


Non sapevo quanto tempo fosse passato, avevo perso il contatto con la realtà, non capivo più cosa fosse reale.

Mia moglie era morta, giaceva a terra, la testa fracassata, il suo sangue era dappertutto, mescolato a quello del mio povero bambino. Ogni tanto calde lacrime cadevano sul mio volto e nella mia testa si ripetevano gli eventi e pensavo, pensavo che se solo avessi fatto qualcosa forse mio figlio sarebbe ancora vivo. Il mio flusso di pensieri venne interrotto dal suono del campanello, un brivido mi percorse, mi avvicinai alla porta, aspettandomi un agente di polizia, ma non appena aprii la porta non vidi nessuno e abbassando lo sguardo trovai un contenitore in plastica, con dentro una cassetta con attaccato dello scotch in carta su cui era scritto il nome di mio figlio, Fabio. La raccolsi con il cuore in gola e mi guardai intorno, ancora nessuno.

La portai dentro e presi il mio nuovo registratore, aprii la cassetta e mi inquietai. Il nome Fabio era scritto su tutta la superficie della cassetta, in diversi caratteri e grandezze, inghiottendo un boccone amaro inserì la cassetta, misi le cuffie ed avviai la riproduzione, una voce buffa mi arrivò alle orecchie, come se qualcuno stesse raccontando una storia per bambini:


"Giovani bimbi, giovani bimbe, quella che starete per ascoltare è la storia di FABIO. Era un bimbo come tutti voi, e lo è ancora. Siete curiosi di conoscerlo?"


aggrottai le sopracciglia, cosa voleva dire? Ci fu una pausa, e poi continuò


"Nel 1973 nacque un bellissimo bambino. I suoi genitori, contenti di averlo, lo chiamarono FABIO. Mamma e papà erano molto contenti!"


si sentì il pianto di un bambino, il MIO bambino, quando ancora era piccolo e indifeso, e la ninna nanna che gli cantavo io poco prima che la malattia seppellisse nella pazzia sua madre, il mio cuore ricominciò a battere veloce, iniziai a sudare, e dopo 10 secondi circa sentì una bestemmia, la stessa bestemmia che disse lei quella sera, al sudore si aggiunse il tremore e la cassetta, dopo poco continuò:


"La mamma del povero FABIO era molto malata. Qualcosa un pochino di più della febbre, ma non era niente di grave. Solo che... era molto arrabbiata, e questa rabbia la sfogava con il povero FABIO."


Il mio respiro si fece affannoso, non comprendevo, poi però la cassetta continuò:


"Papà" -disse una voce sottile- "dov'è la mamma?"


Cinque secondi di silenzio.


"La mamma è malata ma non preoccuparti, è soltanto una leggera febbre."



"Me la leggi la favola della buonanotte?" 


"Scusami bocconcino, ma stasera non posso. Ora vai a nanna. Buonanotte, FABIO." 


"Buonanotte, papà." 


la nostra conversazione, come…



Scoppiai in lacrime, un pianto silenzioso che divenne isterico quando sentì le urla di mia moglie e la sua risata isterica, guardai il suo corpo, ancora esanime, i suoi occhi morti sembravano guardarmi.


"Ma un giorno, la sua rabbia purtroppo, fece cose molto... Cattive."


Corsi in un angolo della stanza, mentre urlavo e piangevo, nel farlo le cuffie si staccarono dal registratore e mentre la mia sanità mentale svaniva la cassetta ripeteva l’incubo che avevo vissuto, lasciando che il mio cervello lo assimilasse ancora ancora e ancora.


I quel momento iniziò la parte dove io uccidevo mia moglie, la parte dove le urlavo addosso e le fracassavo la testa contro il muro prima di strozzarla fino a spaccarle la gola, continuavo ad ascoltare mentre guardavo il suo cadavere negli occhi, la sentì morire ancora, e poi il narratore disse:


“Questa era la storia del piccolo Fabio, bambini, vi è piaciuta? Spero proprio di sì, e ricordatevi” sobbalzai quando la voce dell’uomo divenne cavernosa “chi è cause del suo mal pianga se stesso”


la registrazione finì, continuai a piangere, a urlare, persi la voce e la sanità mentale, ricoperto dalle budella di mio figlio e con gli occhi asciutti e collosi del cadavere mia moglie che mi fissavano, sentivo ancora nella mia testa il rumore della sua trachea che si rompeva mentre la strozzavo.

Mi alzai, deciso a farla finita, andai nel mio studio presi la pistola dalla cassaforte, la puntai alla tempia e sparai.

Non morì e anzi potei solo constatare con orrore che la carne dove il proiettile si era fatto strada si stava rigenerando. 

Presi la cassetta ed andai alla macchina, il terrore aveva frantumato la mia psiche, non comprendevo quello che era successo e quello che stava succedendo fino a quando il buio mi avvolse.

Mi risvegliai, in ospedale, con accanto una deliziosa infermiera, mi ero schiantato contro un muro e lei si era presa cura di me per tutto il tempo. Strinsi un legame di amicizia, che poi si tramutò in amore da parte sua, che io accettai per non lasciare che la solitudine mi divorasse, andai a vivere con lei nella sua grande casa, cambiai identità, mi trovai un lavoro, iniziai a collezionare cassette e feci finta che tutto andasse bene.

Misi la cassetta di Fabio nel mio nuovo studio, in mezzo alle cassette dei Pooh e di Barry White.


Nessuno si sarebbe accorto di lei nella mia collezione.

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La cassetta

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