La storia tende a ripetersi, non c'è dubbio.
Ho visto uomini e fratelli uccidersi per un tozzo di pane; donne violentate da barbari incivili; bambini costretti alla schiavitù sessuale solo perché così voleva il corrotto Legatus di turno. Ma "visto" è scorretto.
Ho udito le urla di madri straziate dal dolore per la perdita del marito, morto in battaglia; l'asino stanco, che esala l'ultimo respiro di vita, preso a vergate dall'avido padrone; il pianto incessante del mendicante, cui tutti i patrizi salgono sopra con i loro sandali raffinati. Ma anche "udito" non è propriamente corretto.
Ho toccato la terra brulla gonfia di sangue dopo un combattimento mortale nell'arena; assaggiato il fiele amaro rifilatomi dal mercante infame come vino d'annata; mi è entrato nelle narici quell'acre odore di morte, proveniente dai cadaveri sparsi lungo la strada. Ma nessuno di questi sensi è in verità dono fatto dal cielo a me o ai miei fratelli.
Questa macabra fiera non è mai stata nostro patrimonio; abbiamo vissuto sempre in grandi città affollate, dove il vino e le risate non mancavano mai. Le nostri madri erano oneste lavoratrici, servivano chiunque lo desiderasse, dal patrizio al plebeo.
Eppure, in tutte le lupanare del grande Impero, oltre le vasche da bagno, i letti di pietra, i simpatici affreschi con la scritta "Hic habitat felicitas", c'era una stanza particolare. Dietro l'edifizio dedicato allo sporco mestiere, c'era un piccolo canale di scolo, non collegato alla cloaca cittadina.
Li venivano gettati i feti e gli aborti delle lupe, i bambini nati da una relazione extraconiugale di una meretrice e un chissà quale altro onesto cittadino dell'Impero. Tali piccoli esseri non meritavano una sepoltura in un cimitero, poiché fino a due anni di vita un bambino non è considerato neanche umano.
Una pattumiera.
La nostra casa.
Così, insieme ad altre decine di miei fratelli del peccato, sono qua. Gettato come corrispondenza indesiderata, costretto a marcire per l'eternità.
Ma ciò che più mi crea rabbia è il motivo per cui siamo stati lasciati al nostro destino; non per pudore, né per motivi di sussistenza economica. Intralciavamo il lavoro delle nostre care mamme.
Ci è stato negato tutto; l'amore, la conoscenza, la paura. La vita stessa.
Solo un sentimento ha avuto modo di nascere dentro i miei compagni ancora vivi.
L'odio.
Probabilmente, in questi pochi minuti in cui sono stato vivo, ho avuto modo di conoscere l'umanità più di quanto potrà mai fare uno storico o uno studioso.
Scritta da Ronfasano Senzasosta