Creepypasta Italia Wiki
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(by Dopabeane)

-La storia venne inizialmente pubblicata sul sotto forum 'Nosleep' di Reddit dall'autrice, che mi ha permesso di tradurla e creare delle illustrazioni. -

Link al post originale:

https://www.reddit.com/r/nosleep/comments/9ic55i/the_puppet_in_the_tree/

Ogni scuola elementare ha una qualche stupida leggenda urbana. La mia aveva quella del Muppet Man, e lo odiavo.

Muppet Man era deforme. Un'operazione di chirurgia plastica lo aveva reso sproporzionato come una marionetta, per cui aveva rubato un costume da animale arcobaleno dal teatrino della scuola da poter indossare ovunque. Abitava su un'antica quercia nel cortile sul retro. Alcuni bambini dicevano vivesse tra i rami, guardandoci giocare camuffato da foglie e ramoscelli.

Quelli strani affermavano vivesse nel tronco, mangiando larve di bruco e torturando il fantasma di Jason Hughes.

Sfortunatamente, Jason Hughes non era una leggenda metropolitana. Era solo una tragedia. Uno sfortunato, ansioso fuscello condannato con ridicoli occhialoni e un'ossessione per il disegno. Rammento di essermi sentito arrabbiato durante un pomeriggio piovoso perché volevo colorare con i pennarelli nuovi della maestra, ma Jason aveva già usato tutti i fogli che c'erano in classe. A nessuno piaceva molto, me incluso. Ma non so perché. Era un ragazzino dolce. Nervoso, ansioso, e un po' troppo intelligente per la sua età, ma dolce. Jason scomparve una sera di novembre in seconda. Alcuni giorni dopo un'insegnante trovò i suoi vestiti impilati alla base della quercia nel cortile della scuola. Il preside indisse un'assemblea per fare l'annuncio. Lo disse in modo da far sembrare che fossero stati ritrovati puliti e ordinati, ma mio padre - un poliziotto all'epoca, un poliziotto con la brutta abitudine di raccontare ai bambini cose che nessuno dovrebbe sapere - mi disse che i vestiti di Jason erano sudici. Più che sudici, infatti: macchiati da urina, feci, e sangue.

Mi intimò di non dirlo a nessuno. Non l'ho mai fatto. Era troppo terribile anche solo pensarci, figuriamoci condividerlo con qualcun altro.

Ecco perché odiavo Muppet Man; nessuno poteva pronunciare il suo nome senza che un qualche stupido mocciosetto nei dintorni non dicesse quello di Jason. Una terrificante litania scolastica.

C'era anche un altro problema. A scuola sapevano che Jason era il mio vicino di casa, e che mio padre era un poliziotto. Dopo alcune settimane di isterico interesse, venni brutalmente tagliato fuori.

Mi stava bene. Nell'ultimo paio d'anni, mio padre aveva arrestato i genitori di almeno due miei compagni, e mi avevano fatto passare l'inferno per questo. Nessun problema. Preferivo i libri alle persone in ogni caso e trascorrevo le ricreazioni a leggere sotto la quercia. Qualche volta fingevo di leggere al fantasma di Jason. Una penitenza, suppongo, per averlo trattato così male.

Una giornata di febbraio arrivai a scuola due o tre ore dopo. Non ricordo perché. Rammento solo che andai a scuola e arrancai nel cortile deserto.

Febbraio è un brutto mese, in questo angolo di mondo in particolare. Il cielo passa da grigio al mattino a color ghiaccio la sera, e di notte si tinge di una piatta e acquosa oscurità che mi fa male al cuore. Le piante sono tutte morte, gli alberi scheletrici ad eccezione delle fiorenti colonie di vischio. Una desolazione.

Il vuoto cortile posteriore non faceva eccezione. Tutto era grigio e spento e in qualche modo friabile, come se al tatto si potesse rompere e frantumare. La quiete quasi sovrannaturale trasformò la fragilità di quel pallido inverno in qualcosa di sinistro. La paranoia mi prese all'improvviso. E se, soltanto se, fosse stato vero? Se l'universo fosse a pezzi? Se il panorama davanti a me fosse stato un fragile strato, in attesa di un mio passo fuori posto per spaccarsi in tanti pezzi?

Trattenni un'ondata di panico prestando più attenzione ad ogni passo, posizionando il piede con straziante delicatezza. La sabbia scricchiolava sotto le suole. Tutto pareva solido, ma il senso di vitrea fragilità persistette. Sentii il bisogno di chiudere gli occhi e di camminare il più velocemente possibile.

Il mio tragitto mi portò proprio oltre la quercia. Una nera corteccia di vetro soffiato brillava debolmente. I rami proiettavano motivi di ragnatele contro il cielo cupo. Erano spogli tranne che per i nidi di vischio. L'albero ne era infestato. All'improvviso, con uno sconcertante, doloroso lampo di chiarezza, capii:

L'albero stava morendo.

Rallentai, fissandolo con il genere di silenziosa venerazione che dovresti provare in chiesa. L'albero era spaventoso ma bello allo stesso tempo. Soprattutto, era un pilastro della mia memoria; era visibile dal mio giardino, torreggiante sopra la scuola e la mia infanzia come una rassicurante ed eterna sentinella. Fatta eccezione che non era eterno. Sarebbe sparito un giorno, forse prima che avessi finito le elementari. Forse ancora prima.

La mia gola era arida e calda. Presi nota dei rami nudi e mentalmente provai a stabilire la posizione dei grappoli di vischio. Era difficile: spuntavano dall'albero in maniera più fine rispetto alle foglie estive, e continuavano a muoversi, scossi, senza dubbio, dalla brezza invernale.

Tranne che - un'altra brutale, desolante epifania - non c'era vento. Il vischio scuro frusciò e si contorse come un serpente intrappolato.

Aria gelata punse i miei occhi mentre si spalancavano.

Vivaci scoppi di colore tremolarono inspiegabilmente tra i rami, strisciando attraverso il vischio come un boa di piume multicolore.

E brillando in quella sinuosa corda di colore - occhi.

Occhi di vetro rotondeggianti color lime.

La corda di colore si ruppe in viticci e crebbe, non diversamente dal fungo in cui nidificava, sovrastando l'oscurità con tonalità neon vibranti. Poi si intrecciarono di nuovo insieme, serpeggiando dietro ai rami e il vischio prima di riunirsi in una morbida, ridicolmente proporzionata caricatura di un'animale. Un cartone animato in carne e ossa.

Un Muppet.

"Ciao," disse. La sua voce mi fece balzare: calda e gioiosa e spiacevolmente amichevole. Una voce da cartone animato.

Mi tremò il labbro. Lacrime mi impregnarono gli occhi, brucianti e gelide allo stesso momento. "Non sei reale."

"Sì lo sono." Mi fissò con uno sguardo affilato da rettile che mi fece venir voglia di urlare. "Potrei anche essere più reale di te."

Il mondo parve più vitreo che mai, scolorito e frangibile ad eccezione della sgargiante e oscena mostruosità sopra di me. Spostai il piede e trattenni il respiro, pregando che si sarebbe frantumato, prendendo il mostro technicolor con sé. Se avessi distrutto un mondo rotto, avrei veramente distrutto qualcosa?

Ma il pavimento rimase solido. Il ghiaccio oltrepassò le suole delle scarpe penetrandomi nei piedi.

La creatura si stirò e si stirò e si stirò, strisciando lentamente giù per il tronco dell'albero. Lento come un bradipo ma rapido come un rettile allo stesso tempo, spiccando con quel ridicolo pelo Crayola. Sarebbe dovuto essere divertente. Perché non lo era? Perché ero spaventato? Perché non stavo scappando?

Scivolò giù per la corteccia fino a che i suoi occhi non furono allo stesso livello dei miei. "Solamente le cose davvero reali," intonò, "possono nascondersi in piena vista. Cose reali come me e Jason Hughes. I tuoi amici mi chiamano Muppet Man. Anche tu, puoi."

Estese una mano - lunga e assurdamente magra, simile quasi al piede distorto di una rana fatta eccezione per il pelo arcobaleno.

Mi voltai e corsi fino alla scuola, urlando per tutto il tragitto.

La povera infermiera tentò di farmi raccontare cosa era successo. Nemmeno ricordo cosa dissi. Rammento solo di essermi nascosto sotto alla sua scrivania singhiozzando. Quando finalmente riuscii a balbettare le parole Muppet Man e Jason, la scuola venne evacuata. Arrivò la polizia. Mio padre non era con loro. Guardai attraverso la finestra, mugolando e piangendo cercando di dimenticare gli occhi verdi e accesi del Muppet Man. Ma come avrei potuto, quando tutto il resto - la quercia e la polizia, l'infermiera e il cielo e le mie mani tremolanti - parevano così fragili e sbiaditi? Muppet Man era l'unica cosa colorata. L'unica cosa viva.

L'unica cosa reale.

Un po' di tempo dopo - forse un minuto, forse dieci ore per quanto ne so - un poliziotto venne in infermeria. Mi prese per un gomito nonostante le proteste dell'infermiera e mi trascinò fuori. Il mondo mi passò davanti in una monocromatica, morta, accecante sfocatura. L'albero incombeva davanti, scuro e vuoto e terribilmente vicino.

Mi agitai, ma mi trascinò verso di esso spingendomi in avanti. Mi fermai a qualche centimetro dal tronco. Oscuro e morto e incrinato, fatta eccezione per ciuffi assurdi di pelliccia technicolor.

"Sei stato tu?" chiese l'agente.

"A fare cosa?" Urlai. "A fare cosa?"

"A metterlo," indicò in direzione di un nodo particolarmente osceno di pelo rosa neon, "su quest'albero?"

Gli dissi di no. Gli dissi che era stato Muppet Man, che lo avevo visto, che conosceva Jason e che conosceva me.

L'infermiera mi mandò a casa poco dopo, e i miei genitori mi mandarono a casa dei miei nonni a San Diego quella stessa notte. Restai lì per tre settimane. Rimasi fino a che non smisi di avere incubi sul Muppet Man che mangiava gli insanguinati, urinati abiti di Jason mentre guardavo, intrappolato dai suoi occhi brillanti come un cervo dai faretti.

Tornai a casa un mercoledì sera. Sapevo che era mercoledì perché ricordo che controllai il calendario di mia madre. Grande e lucido e pieno di cuccioli di Beagle. Mi ha sempre fatto sorridere.

I miei genitori mi diedero cibo del Burger King e un po' di torta gelato, poi mi mandarono a letto.

Quando sollevai le coperte, mi bloccai. Tutto attorno a me sbiancò, divenendo pallido e vitreo.

Tutto tranne i sudici ciuffi di pelo neon sul mio cuscino.

I miei pensarono fossi stato io a metterli lì e mi sgridarono per quasi un'ora, ma mi lasciarono ugualmente dormire con loro.

La scuola era un incubo. Trascorsi l'intera mattinata in uno stato di terrore. Quando suonò la campanella, pensai di mettermi a fare i capricci per rimanere in classe. Ma sarei finito nei guai. I miei si sarebbero arrabbiati. Mi avrebbero mandato nell'ufficio del preside.

D'altronde, ci sarebbero stati altri bambini nel cortile. Vivi, vibranti, colorati, rumorosi bambini. Forse tutto quel rumore e quella vivacità sarebbero stati troppo per Muppet Man.

Mi dissi queste cose, ma corsi comunque verso il bagno al suono della campanella. Vomitai, poi mi sedetti sulla tazza fino a che un'insegnante - evocata probabilmente da qualche spione - venne e mi disse che dovevo andare fuori.

Mi rannicchiai in un angolo nel campetto da calcio, il più lontano possibile che potevo dalla quercia.

Anche da una certa distanza, pensai di aver intravisto della pelliccia variopinta che serpeggiava tra i rami.

Decisi che mi stavo immaginando tutto.

Quando le giornate si fecero finalmente più calde - il cielo d'acciaio che si ammorbidisce al ricco blu durante il giorno e i colori delle uova di Pasqua al tramonto, rami nudi che germogliano gemme, fiori che crescono in tutta la scuola - tornai a sedermi come sempre sotto l'albero.

Dapprima fui cauto, ma determinato. Ogni adulto presente nella mia vita mi aveva convinto che avevo le allucinazioni. Ogni bambino che conoscevo a scuola sapeva che avevo avuto un crollo sul Muppet Man. Le provocazioni erano da sole sufficienti per rafforzare la mia determinazione.

Prima che me ne rendessi conto, stavo leggendo sotto l'albero come sempre, il vitreo orrore invernale a malapena un ricordo.

Durante un pomeriggio d'aprile, qualcosa mi distrasse dal mio libro. Non capii cosa fosse all'inizio. Forse i bambini che gridavano sui giochi. Magari le ragazze dell'ultimo anno che facevano gossip qualche metro più in là. Forse la tiepida brezza che smuoveva le foglie.

Abbassai lo sguardo e sussultai.

Delle larve mi stavano strisciando sulle braccia. I bruchi bianco-giallastri che vivevano nel tronco, il genere che a detta dei bambini il Muppet Man amava mangiare.

Corsi fino al campetto e rimasi lì fino a che la campanella non suonò.

Quando tornai a casa quel pomeriggio, trovai manciate di pelo neon sparse per tutta camera mia. Corsi da mia madre. Perse la pazienza, mi spedì nel cortile, e mi disse di restare lì fino a che non avesse finito di ripulire.

Quando smisi di piangere, mi sedetti sotto l'albicocco perdendomi nel mio libro.

Mentre la luce del pomeriggio andava a calare, cedendo posto al rame, qualcosa mi scaraventò fuori dalle mie fantasticherie. Guardai giù e vidi vermi bianchi. Piccoli e soffici e in qualche modo umidi, che mi strisciavano sulle braccia.

"Ciao," sussurrò una voce spiacevolmente amichevole. "Scusa se è passato così tanto. Suppongo di esser stato un pessimo amico."

"Sono pazzo," sussurrai. Chiusi di colpo il libro e i miei occhi. "Pazzo, pazzo, pazzo -"

Fastidioso pelo in poliestere si stropicciò contro la mia pelle. "Non pazzo," disse Muppet Man. "Solo veramente reale, come me e Jason Hughes. Cosa stai leggendo?" Allungò una mano, accecante pelo multicolore che brillava alla luce del sole, e capovolse il libro. "Black Beauty. È bello?"

"È fantastico," ansimai. Volevo saltare in piedi, volevo correre urlando in casa, ma le mie ossa erano come acquose e congelate allo stesso tempo. Non sarei stato in grado di alzarmi, figuriamoci di correre.

Muppet Man scrollò i vermi dal mio braccio e si sedette accanto a me. Il suo pelo mi provocava prurito. Non alzai lo sguardo. Sapevo già cosa avrei visto: quel volto scavato da dinosauro dominato da occhi di vetro che avrebbe brillato alla luce del sole morente. Non volevo vederlo. Avevo paura di cosa sarebbe potuto accadere se lo avessi fatto.

"Mia madre ti vedrà," sussurrai.

Mi accarezzò il braccio, la pelliccia che strusciava ancora. "Dovresti leggermelo."

Lacrime mi riempirono gli occhi. "No."

Forti, storte dita mi strinsero il polso. "Voglio che tu legga per me."

“No.”

"Se lo fai, ti porterò da Jason Hughes."

Per poco non soffocai. Jason Hughes con i giganteschi occhiali e la voce acuta, l'ansioso Jason Hughes che aveva rubato tutti i fogli in classe solo per disegnarci i suoi stupidi pesci e i suoi stupidi scarabei, Jason Hughes che era stato ridotto a una sanguinosa pila di vestiti macchiata da urina alla base dell'albero del cortile della scuola.

"Perché?" chiesi.

"Perché siamo soli," rispose Muppet Man.

Mi voltai verso la casa, pregando che mia madre guardasse fuori e ci vedesse. "Se si sente solo, dovrebbe andare a casa."

"Non può. Non piace a sua madre."

Ci riflettei brevemente. Pensai a mio padre. Il mio povero papà che faceva sempre un sacco di straordinari. Il mio povero papà che non riusciva a prendere nemmeno una pausa al lavoro.

Ma se avessi potuto aiutarlo? Se fossi riuscito a trovare Jason Hughes, e dargli il merito?

"Quando potrei vedere Jason?"

"Dipende" disse Muppet Man, "da quanto leggi bene."

Aprii il mio libro alla prima pagina e iniziai a leggere ad alta voce.

Il raschiare della porta scorrevole di vetro ruppe la mia concentrazione poco dopo. Alzai lo sguardo e vidi mia madre. Il mio cuore mi balzò in gola. Mi girai speranzoso, ma Muppet Man non c'era più.

Il mattino seguente, trovai ciuffi di pelo neon nella mia cassettiera. Era appiccicato alle mie mutande e alle mie magliette come muschio.

Alla fine di maggio, trovai un biglietto sul mio davanzale. Carta nettamente piegata con scritte fatte a pennarello colorato:

Vieni all'albero della scuola stanotte alle ventitré. Il tuo Amico, MM.

Fili grossolani di pelo giallo, rosa, e blu erano sparsi sulla nota. Li scossi via e ripiegai il foglietto nella mia tasca.

Non ero stupido. Sapevo di non poterci andare da solo. Ero terrorizzato dal Muppet Man solo poco più di quanto lo sarei stato per quello che mi avrebbero fatto i miei se mi avessero beccato a sgattaiolare fuori.

Così andai da mio padre. Gli mostrai il foglietto e lo pregai fino a piangere. Mi accusò di essermi inventato tutto, ma alla fine decise di accompagnarmi a scuola all'orario stabilito.

Vivevamo a solo un paio di isolati, perciò camminammo. La sera era insolitamente fredda, quasi quanto il primo giorno in cui incontrai Muppet Man. Ricacciai indietro le lacrime per tutto il tragitto, stringendo la mano di mio padre con entrambe le mie.

I cancelli della scuola erano chiusi, ovviamente, ma c'era una piccola entrata in un passaggio dietro la mensa. Non aveva altro se non un semplice chiavistello. Lo sapevano tutti i bambini, ma gli adulti non avevano mai fatto niente.

Guidai mio padre attorno al perimetro del cortile, tenendoci vicini agli edifici per nasconderci nell'ombra. "Aspetta qui," sussurrai. Obbedì, apparendo stanco persino nell'oscurità.

Guardai l'albero. Non sembrava più malato. Le foglie celavano l'infestazione di vischio. Sembrava vigoroso e in salute, ancora una volta un'eterna sentinella.

Mi avvicinai al tronco e sussurrai, "Ciao."

Qualcosa frusciò tra le foglie in alto. "Ciao," rispose la voce calma e piena del Muppet Man.

“Dov'è Jason?”

I rami si mossero e una scura, pelosa figura scivolò giù dall'albero. Occhi di vetro catturarono la luce lunare risplendendo. " È dentro di me."

Muppet Man si contorse e si allungò giù per il tronco fino a che i suoi occhi non furono allo stesso livello dei miei. Non era più vivace o colorato. Il suo pelo era sporco, incrostato da fango e sabbia, e nuda, loiosa tela rimpiazzava i larghi spiazzi coperti un tempo da un manto neon. Era ovvio che gli mancasse della peluria. Ne aveva lasciata a ciuffi per tutta camera mia per mesi. Non c'era da stupirsi se non gli era rimasto nessun pelo.

“Che intendi?” Chiesi con una sottile, piagnucolosa voce.

Il Muppet Man si avvicinò, tenendomi immobile con i suoi bulbi vitrei. Si portò le sue lunghe, sottili dita al mento prendendolo, poi sollevandolo come un bambino che si toglie una maschera di Halloween.

Ebbi un tuffo al cuore, pesante e orribile come un tamburo di guerra.

Enormi occhiali brillarono alla luce della luna, tragicamente fuori misura per la decomposta piccola faccia al di sotto. La testa marcia di Jason Hughes era grigia e così fragile, luccicante come vetro sotto la luna. Se lo avessi toccato, si sarebbe frantumato.

L'assurdo costume cadde per terra con un sibilo. Vuoto e scolorito. Anche gli occhi erano spenti adesso. Il costume era privo di vita. Non era mai stato vivo.

Le orbite vuote di Jason si gonfiarono, poi si ruppero e si divisero con una serie di schiocchi, morbidi e cartacei. Qualcosa rombò all'interno, denso e scuro e scintillante con mille luci fioche in colori che non riuscii a nominare.

Il mondo tornò alla normalità e fredda sabbia del cortile mi arrivò in faccia. L'urlo di mio padre ruppe il silenzio che regnava. Forse, anche il povero viso morto di Jason. Mi rannicchiai e rimasi fermo sdraiato mentre mio padre urlava e le sirene si udivano in lontananza.

Il costume rovinato finì in un armadietto delle prove. Il corpo di Jason venne seppellito diverse settimane dopo. Lo tennero il tempo necessario per scoprire cosa gli fosse accaduto. Lo chiesi a mio padre, ma si rifiutò di raccontarmelo.

Ero deluso ma anche sollevato, e non cercai mai di scoprirlo da solo.

Feci del mio meglio per dimenticare tutto, e ci riuscii quasi. Avrei potuto farcela se mio padre avesse tenuto la bocca chiusa.

Ha una brutta abitudine di dirmi cose che non dovrei sapere. Che nessuno dovrebbe sapere. Suppongo sia un modo per sfogarsi, liberandosi da ciò che lo tormenta. L'unico problema col liberarsi da un demone è che questo solitamente va a tormentare qualcun altro.

Mio padre è andato in pensione un paio di anni fa, ma ha ancora amici nella polizia. Si riuniscono e discutono di tanto in tanto. Gli hanno fatto visita l'altra sera, e uno di loro ha riportato a galla Jason Hughes.

“Hanno trovato il responsabile?” chiese mio padre.

“No,” ha detto il suo amico. “Ma il costume. Lo strano costume da pupazzo, sapete? Non è più tra le prove. Svanito.”

"Qualcuno lo ha preso? Lo hanno buttato via per sbaglio?"

“Non lo sappiamo.”

Questo da sé fu abbastanza da potermi tormentare per sempre. Ma non si fermò qui. I demoni non si fermano ad abbastanza, se mai si fermano.

Lo so perché quando mi sono alzato questa mattina, ho trovato ciuffi sudici di pelo neon sparsi su tutto il pavimento di camera mia.

Traduzione: Kobal

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