Credo di aver vissuto una buona vita.
Ormai ho raggiunto una certa età, quell’età in cui si aspetta che arrivi, come una benedizione, l’angelo nero per sollevarti dagli affanni della vecchiaia.
Ho sistemato da tempo tutti i miei conti e firmato il mio testamento. Al mondo resterà come unica testimonianza il mio grande contributo al mondo dell’arte. Ora che sono ancora in pieno possesso delle mie facoltà mentali e intellettive ho deciso di dedicare il mio tempo a riorganizzare le mie vecchie memorie per scrivere la mia biografia per un giornale locale che la pubblicherà in onore dei miei cinquant’anni di carriera.
L’altro giorno, mentre organizzavo la libreria inaspettatamente ho fatto cadere un vecchio album da cui sono uscite alcune litografie ingiallite dal tempo. Quando mi sono chinata per raccoglierle, tra queste, ho ritrovato una foto molto vecchia che non pensavo di aver conservato.
In quel momento ho sentito il sangue gelarsi nelle vene. Conoscevo molto bene il ragazzo che se ne stava in posa nella foto, con i capelli legati indietro, vestito elegante, le labbra serrate e uno sguardo vitreo e tagliente fisso sull’obbiettivo. Il suo nome d’arte era Myllow.
Mi ha riportato indietro di anni, quando ero ancora agli inizi della mia carriera… non userò il suo vero nome, poiché una parte della mia mente continua a rigettare l’idea di portare questa testimonianza, ma ho bisogno di sapere… ho bisogno di sapere se almeno la morte se lo è preso.
Io e Myllow eravamo
due frequentatori assidui della comunità degli artisti.
Lui era un giovane timido e insicuro, ma dimostrava di possedere un talento innato che non aveva nulla da spartire con qualsiasi altro imbrattatele fresco di accademia o illustratore sovrastimato che avevo incontrato nel lungo decennio della mia attività.
Myllow era un artista autentico che sapeva intuire la vera anatomia delle emozioni, la fisiologia del sentimento, conosceva quali linee e proporzioni scaturivano dalle pulsioni latenti o dalla memoria ancestrale dell’uomo, sapeva quali contrasti di colore ed effetti di luce sarebbero stati in grado di risvegliare dal torpore e dalla monotonia quel senso ormai sopito di novità.
Io mi occupavo di scovare talenti e soddisfare le richieste dei miei clienti. La comunità mi aveva dato un soprannome per la mia dote peculiare – Madame Critique.
Amata od odiata non aveva granché importanza, perché chiunque all’interno della comunità aveva cercato, chi più di una volta e chi meno, di entrare nelle mie grazie per ottenere almeno una commissione da parte di uno dei grandi mecenati a cui offrivo i miei servigi. Avevo agganci con i rappresentanti dell’alta società e della classe politica che erano tra i clienti più ambiti dal momento che pagavano profumatamente in contanti e senza giocare al ribasso.
Agli inizi la comunità era un terreno florido, ma negli ultimi tempi era stata colpita dalla piaga della decadenza – quando Myllow entrò nella comunità pensai che la mia buona stella mi avesse sorriso per una volta.
Era incredibile aver trovato uno spirito la cui sensibilità era rimasta ancora incontaminata dal viscidume che la società odierna incubava – reduce di un’adolescenza dura e infelice, segnata da incomprensioni con i suoi genitori troppo esigenti e coetanei che si erano comportati al pari di sciacalli. Myllow mi ricordava i tempi passati in cui anch’io ero stata così, prima di diventare così indolente di fronte alla società e a tutti quei surrogati umani per cui le emozioni non avevano alcuna valenza nella vita. Per questo e per altro, io e Myllow ci siamo avvicinati al punto da iniziare a frequentarci anche fuori dalla comunità degli artisti.
I nostri incontri si consumavano in gran parte in una caffetteria nelle periferie della città, davanti a tazze fumanti di pumpkin spice latte e ad un vetro appannato dietro a cui passavano indisturbate le sagome scure della gente di città. Scoprii così che Myllow aveva una particolare inclinazione per speculazioni filosofiche di incredibile audacia, che avrebbero potuto candidarlo al ricovero nel manicomio di Mombello (se fosse stato ancora aperto).
Queste sue eccentricità resero la sua personalità un aspetto ancora più interessante da indagare, poiché a volte lasciava la vaga impressione di essere fin troppo controllato nelle situazioni.
Passarono all’incirca quattro mesi dall’ingresso di Myllow nella comunità e avevamo già preso parte insieme a diverse mostre in Europa da cui riuscimmo a riscuotere un certo successo.
In genere, queste ultime erano riservate ai membri d’élite, ovvero ai miei membri più anziani, e le spese per le trasferte e gli alloggi erano coperte dai fondi della comunità. Il fatto che Myllow, giovane e intraprendente – nonostante il suo incredibile talento – fosse riuscito ad aggiudicarsi un posto a queste mostre, aveva scosso fino alle fondamenta la critica di alcuni membri ed in particolare di alcuni suoi coscritti. Questo fatto inasprì di più il clima, fino a che non venne deciso di indire un’assemblea per cercare di placare le acque.
Sapevo che la cosa si sarebbe potuta risolvere in due semplici modi e in ogni caso, mi sentivo piuttosto sicura e tranquilla circa la situazione nonostante il clima teso che si respirava; ma Myllow, probabilmente, non riuscì a tollerare il fatto che su di lui gravasse un giudizio da parte dei membri.
Myllow si era ritirato dalla comunità già da un paio di giorni, mentre gli anziani stavano ancora soppesando la situazione che si era andata a creare e stavano valutando se prendere in considerazione la mia soluzione al problema.
Quando non rispose più alle mie chiamate iniziai a preoccuparmi che fosse successo qualcosa di serio e così decisi di tentare di dargli appuntamento alla solita caffetteria, ma non si presentò.
Rimasi lì per tre sere di fila a mescolare il mio spice latte finché non diventava freddo, mentre la cameriera del locale mi guardava con una certa aria di compassione.
Alla fine, decisi di arrendermi e di lasciargli i suoi spazi, e aspettare che fosse lui a farsi vivo.
Dopo una settimana di silenzio, con mia grande sorpresa, Myllow rientrò in comunità con un’espressione serena impressa sul viso. Il clima teso si era decisamente allentato da quando avevo coperto di tasca mia la sua quota e le voci erano state messe a tacere; ma non avevo dubbi che ne fosse al corrente. Lo vidi approssimarsi a me dopo aver accennato ad un saluto con la mano abbozzando appena quello che sembrava un sorriso di circostanza.
«Ho dei nuovi lavori da mostrarti». Disse tutto tronfio e impettito.
«Myllow… dobbiamo parlare». Cercai di ridimensionarlo col tono di voce.
«Certo, possiamo farlo anche qui?».
«No, spostiamoci». Gli feci cenno di seguirmi e lo portai nel laboratorio di scultura che trovammo vuoto.
«Che fine avevi fatto?».
«Ho avuto da fare… sai, mi sono lasciato prendere un po’ la mano».
«Ti ho cercato, perché non hai risposto ai miei messaggi?».
«Avevo bisogno di aria».
«Beh, la prossima volta che hai bisogno di aria per lo meno avvisami, almeno non mi devo preoccupare».
«Eri… preoccupata?».
«Certo che lo ero!». Avevo esclamato quasi fuori di me.
«Che cosa ridicola». La sua risposta mi spiazzò per un attimo. Rimasi in silenzio a fissarlo, con la rabbia montante che iniziava a ruggirmi dentro il petto.
«Lo trovi ridicolo? Abbiamo viaggiato l’Europa per mostre e ci siamo frequentati anche fuori dalla comunità diverse volte, e ora trovi ridicolo che mi preoccupi se sparisci per una settimana senza preavviso?».
Myllow non si scompose. «Si tratta di un formale rapporto di lavoro e cerco solo di adattarmi alle convenzioni della società, nulla di più. Ah, forse tu ti aspettavi un riconoscimento per aver coperto le mie spese?».
«Ora ho capito… sei solo un opportunista».
«Chiamami come vuoi, ma credo che tu abbia solo travisato le mie intenzioni. Ma ti capisco, dopotutto sei soltanto una donna sola e debole in un mondo tanto vasto quanto spietato…». Non ci vidi più dalla rabbia e gli mollai cinque dita sulla guancia. Seguì un lungo silenzio e lui mi guardò, quasi sconvolto per la mia reazione, sembrava essersi risvegliato dal torpore.
«Non pensavo che il marcio della società ti avesse corroso fino a questo punto. Sei tu quello debole… e ora ti sei rivelato per quello che sei: nient’altro che un uomo patetico che si nasconde dietro ad una banale maschera. Io e te abbiamo chiuso Myllow».
Uscita da quella stanza non mi voltai indietro neanche una volta. Nonostante i nervi a fior di pelle dopo quella discussione e lo shock che mi aveva fatto aumentare la frequenza cardiaca continuai a concentrarmi sugli impegni che avevo durante la giornata. Dopotutto, sarebbe stato alquanto ridicolo lasciarsi condizionare a tal punto dalla delusione. Mi sentivo affranta, ma non volevo lasciargliela vinta o fargli pensare di avere anche solo lontanamente ragione sul fatto che fossi una donna debole. Se ero sopravvissuta fino a quel punto da sola, senza contare mai sull’appoggio di qualcuno, potevo riuscirci ancora. Non avevo bisogno di una base su cui ricostruire me stessa, ma cercavo solo quello che da tempo il mio cuore continuava ad agognare di trovare.
Una persona di cui potessi fidarmi.
Per le settimane successive io e Myllow non ci rivolgemmo la parola.
Ciononostante, tutti e due continuavamo a frequentare la stessa comunità; ognuno era coinvolto nelle proprie attività e questo ci portava ad avere scarse, se non quasi nulle, interazioni. Qualche occhio e orecchio indiscreto si era posto qualche domanda sul repentino cambiamento del nostro rapporto; ma nessuno aveva avuto voglia di alimentare le voci dal momento che ero trattata con una certa riverenza anche dai membri più anziani della comunità. Questo personaggio che mi ero costruita nel tempo espletava perfettamente la sua funzione di robusta corazza e dava la parvenza agli altri che cadessi sempre in piedi anche dopo il più violento terremoto.
Altre settimane trascorsero finché le stagioni non scivolarono lentamente lasciando il posto al freddo umido dell’autunno. Una particolare sera in cui mi ero dilungata fino a tardi per accomodare gli ultimi preparativi per una mostra, un coscritto di Myllow mi venne a parlare per confidarmi un dubbio alludendo al suo bizzarro comportamento e ai soggetti che aveva iniziato a rappresentare nelle sue ultime opere. Gli artisti avevano la possibilità di lasciare i propri lavori in custodia nei laboratori, per poi essere terminati nelle giornate successive e difatti, Myllow non aveva mancato affatto di lasciare una sua tela incompleta. Non era stato necessario chiedere quale fosse la sua tra le tante.
Semplici tocchi di pennello avevano trasfuso sulla tela l’orrore che si annidava nel profondo dell’animo umano. Dovetti rinunciare più volte e lasciar cadere lo sguardo altrove, tanto era forte e irradiato in me il terrore atavico di quel nero vuoto che sembrava rimandare a quelle preistoriche notti dell’uomo prima ancora che il fulmine colpisse l’albero sulla terra da cui fu scoperto il primo fuoco. Quale orribile abominio generato dalle ombre si trovava rappresentato su quella tela? L’occhio cadde infine sulla targhetta rimasta vuota, segno che l’artista doveva ancora dare un nome alla sua ultima opera.
«Hai altre cose da riferirmi?».
«Io non credo...».
«Dicevi che aveva uno strano comportamento».
«Ah sì, è… delirante».
Avrei voluto rispondere che certamente non doveva essere sano di mente per riuscire a rappresentare in modo così vivido la paura incarnata, ma mi limitai al silenzio continuando a pensare all’artista che aveva prodotto quell’abominio.
«Madame, questa tela sarà esposta al pubblico?».
«Non credo».
Più tardi lasciai l’edificio e decisi di non fermarmi per strada. Volevo rincasare presto. Avrei potuto chiamare un taxi, ma sentivo di aver bisogno di schiarire le idee all’aria aperta. Svoltai all’angolo per inoltrarmi in un vicolo deserto – una sorta di scorciatoia che non prendevo da un po’ di tempo – con gli abbaini in rovina, le finestre anguste dai vetri rotti, i vecchi comignoli fumanti delle case che si stagliavano cadenti contro il cielo. Forme diafane e filiformi salivano verso l’atmosfera e si mescolavano in quella pesante nube di vapori che sovrastava l’intera città. La decadenza e l’oscurità di quel paesaggio in rovina mi avevano ricordato un assaggio dell’essenza di quella tela che mi stava facendo ancora rabbrividire; avanzai ancora finché non raggiunsi la strada principale illuminata dalle vetrine dei negozi levando un profondo sospiro di sollievo.
C’era qualcosa di indecifrabile e al tempo stesso di inquietante nei modi di fare di Myllow, e solo ora me ne stavo stupidamente rendendo conto. Non avevo mai fatto caso prima d’ora ai suoi comportamenti bizzarri. In particolare alla postura che teneva al tavolo di quella caffetteria in cui eravamo soliti fermarci, sempre con lo sguardo rivolto in direzione opposta al suo riflesso sul vetro; alla vacuità della sua espressione dietro cui mi chiedevo quali emozioni stessero ribollendo dentro quel calderone che celava chissà quale terribile e oscuro segreto. Non potevo aver detto parole più giuste quando lo avevo accusato di portare una maschera e il mio sesto senso di donna lo sapeva perfettamente; continuavo a sentirmi messa in guardia da un terribile presentimento di un pericolo imminente, che furtivo e nascosto, sarebbe stato pronto a saltare fuori dal buio in qualsiasi istante.
Nei giorni successivi feci del mio meglio per sottrarre la mia mente dal pensiero di quella tela che Myllow stava preparando, continuando a covare di nascosto il disagio ogni volta che lo vedevo entrare nel laboratorio e rinchiudersi là dentro per ore per terminarla. Quando abbandonava la comunità all’imbrunire per rincasare nel suo appartamento che si trovava alla periferia della città, la tensione finalmente si allentava e le indiscrezioni degli altri artisti iniziavano a farsi sentire per il corridoio e la sala da tè.
C’era qualcosa di inquietante in quegli schizzi ripugnanti e nelle mostruosità incompiute che guardavano lascive da ogni punto della stanza i visitatori; le tele si erano moltiplicate e nessuno aveva più il coraggio di utilizzare il laboratorio o di lavorare insieme a lui. Tuttavia, quello spazio era stato allestito e destinato ad ospitare fino a venti persone coi loro lavori e non potevo lasciare che Myllow lo occupasse completamente; ormai sentivo già il fiato sul collo degli anziani membri che mi chiedevano di trovargli un’altra sistemazione e sapevo che avevano solo il timore di chiedermelo per una mera questione di virilità. Ma tra tutti qua dentro ero l’unica ad aver legato più di tutti con Myllow e l’ingrato compito spettava a me. Avrei cominciato quella sera stessa a trasferire il suo materiale in una saletta ubicata in fondo al corridoio, così sarebbe stato ben lontano da sguardi indiscreti e avrei messo a tacere quella marmaglia di fifoni per il resto della serata.
Dopo aver spalancato la porta penso di essere rimasta paralizzata per un attimo. Le tele incompiute sui cavalletti o appoggiate contro la parete incubavano l’orrore spettrale dell’incubo incarnato risaltato dalla luce cerulea della Luna filtrata dalla finestra che si proiettava sul pavimento in una pallida pozza di luce; notai che lo stesso soggetto era stato più e più volte rappresentato sulla tela e ancora una volta Myllow era riuscito a mettere in evidenza la sua tecnica attenta e scrupolosa – perché aveva rappresentato lo stesso soggetto su più tele? A fatica ero riuscita a trattenere l’impeto di una reazione che minacciava di prorompere in una isterica risata.
Sarebbe stato saggio richiudere quella porta e tornarmene nell’atrio insieme agli altri artisti che si erano fermati fino a tardi, tanto avevo bisogno di sentire il contatto delle persone in quel momento; ma per l’amor del cielo, avevo anche una certa reputazione da difendere!
Mi stavo per accingere a coprire i quadri con un telo prima di organizzarmi per trasferirli in un altro spazio, quando il silenzio fu rotto da una voce bassa e baritonale.
«Non ti consiglio di farlo. La vernice è ancora fresca».
Sobbalzai per lo spavento, voltandomi indietro per incrociare quello sguardo vitreo.
«Ho bisogno di spostare i tuoi quadri». Risposi caustica, mentre mi sentivo avvampare alle guance. Lui mi spiazzò una seconda volta con una risposta che non mi sarei mai aspettata.
«Non ho intenzione di lasciare che una gentildonna faccia fatica. Dimmi in che stanza devo spostarli e li accomoderò lì fino all’ultimo». Disse con tono mellifluo, mentre piegava un angolo della bocca in una smorfia divertita; doveva essere particolarmente soddisfatto di avermi messa a disagio. Ma non lo lasciai vincere, e così mi limitai ad indicargli la stanza in cui doveva trasferirsi e tornai nell’atrio trovando metà della gente che c’era prima. Sguardi indiscreti e sussurri aleggiavano nella stanza dall’alto soffitto a volta. L’orologio a parete stava per scoccare le dieci e con sollievo pensai che fosse arrivato il momento di andare. Non volevo andarmene prima per non lasciare il minimo dubbio a nessuno che qualcosa potesse avermi turbata, così firmai la presenza e mi feci chiamare un taxi dalla reception.
Nei giorni successivi sembrava respirarsi un’aria più tranquilla ora che il laboratorio principale era stato sgomberato e l’ultima sala in fondo al corridoio era diventata la “camera degli orrori”.
Myllow continuava ad andare e venire da quella stanza e iniziai a trovarlo più pallido ed emaciato del solito; notai anche una certa trascuratezza nel suo abbigliamento e questo dato di fatto mi lasciò sorpresa dato che un tempo soleva essere una persona curata e di tutto punto. Non avevo intenzione di andargli a chiedere come se la stesse passando e speravo in cuor mio di non doverlo fare, ma non potevo lasciare che anche lui iniziasse a divenire terrificante come i soggetti delle sue ultime opere degeneri. La giornata era volata in fretta tra i vari impegni e il rapido declinare del giorno aveva lasciato al buio la città già alle quattro del pomeriggio. Non so perché, ma avrei voluto chiarire alla luce del giorno che cosa stesse succedendo a Myllow, ma sapevo che se avessi rimandato al giorno successivo avrei potuto continuare a rimandare questo impegno fino alla tomba; così mi ritrovai a bussare alla porta di quella stanza che era divenuta il suo laboratorio.
«Avanti», fu la risposta.
Spalancai quella porta ed entrai nella stanza, richiudendola alle mie spalle e cercando di non alzare troppo lo sguardo per non incrociare le sue tele. «In tanti si stanno chiedendo che cosa ti sia successo».
Dissi, sollevando lo sguardo verso la sagoma ricurva in fondo alla stanza che stava lavorando alla tela.
«Avevo capito che fossi tu dall’istante in cui sei entrata. Hai un profumo intenso e ricorda vagamente qualcosa di esotico, te l’ho mai detto?».
«Fino a qualche tempo fa non ti dispiaceva trattenerti coi tuoi coscritti a fare chiacchiere nella sala da tè, ma ora ti sei isolato da tutti».
«Madame, vorrei che il tuo sapiente occhio critico si posasse sulle mie ultime opere e che il tuo fine intelletto mi raccontasse per filo e per segno che cosa pensa di questa caricatura».
«Piantala di eludere le mie domande!». Iniziai ad alternarmi e mi avvicinai alla sua postazione. Lui mi rivolse uno sguardo di traverso e rispose con tono pacato.
«Trovo pleonastici i tuoi discorsi, ma se in cambio guarderai la mia opera io ti giuro da adesso che sarò pronto a soddisfare tutte le tue domande».
«D’accordo». Ribattei, dopo aver preso una lunga pausa.
Myllow si voltò verso di me con un sorriso che per la prima volta sembrava autentico. Abbassai lo sguardo e partendo dal basso feci caso per la prima volta alla targhetta sulla tela incompiuta di giorni prima che era stata finalmente incisa e recava una scritta – “Ritratto”.
Alzai lo sguardo sulla tela e iniziai a contemplare la sagoma umana dipinta nel quadro. Il suo volto non era più volto. Per un momento avevo creduto si trattasse di una delle elucubrazioni della mia mente, ma me lo sentivo che quella cosa non apparteneva affatto a qualche pittoresca e sinistra visione onirica. Non potevo descrivere meglio a parole quella paura che si insidiava nei reconditi recessi della mia mente e paralizzava ogni fibra del mio corpo trasformandomi in una bambola di carne. Ad esso si miscelava un sentimento di impotenza di fronte a quel nero ignoto a cui nemmeno la mia buona preparazione accademica e il mio amore per le Belle Arti sapeva trovare una spiegazione logica. Come poteva aver rappresentato così fedelmente il terrore incarnato e averlo impresso su quella tela? Avevo sentito dire che c’era qualcosa al di là della vita che alcuni grandi artisti erano riusciti a percepire e farci percepire per un attimo; e mi sentii pervadere di quel sentimento di estraneità che si prova dinanzi a qualcosa che si vede per la prima volta. Quando mi voltai, giurai di aver visto il viso di Myllow trasformarsi e assumere forme che non avevano il minimo senso di esistere in natura. E dunque fu in quel momento che intuii che Myllow aveva dato fattezze inequivocabilmente simili alle proprie al soggetto in quella tela e che si era tolto quella maschera superficiale per mostrare la sua reale essenza.
Il ritratto era il vero aspetto di Myllow.
Una mano reggeva la maschera che tutto il tempo aveva portato, e dietro di essa, laddove sarebbero dovute esserci le forme di un viso, vi era un oscuro e profondo nido di ombre che erano vive e si muovevano e dimenavano come le onde dell’oceano. Non ho mai visto nulla di simile nella mia lunga vita e ricordo poco chiaramente quell’episodio, e se l’adrenalina non mi avesse dato in quel momento la scarica necessaria per sottrarmi a quella demoniaca apparizione, non so se a questo punto sarei ancora viva per raccontarlo. Quando mi sono voltata per correre in direzione dell’unica uscita ricordo di aver visto le ombre allungarsi rapidamente e in maniera innaturale cercando di raggiungermi prima che io arrivassi all’uscita. Ma ce l’ho fatta. Altrimenti non sarei qui a raccontarlo.
Quando ho varcato la soglia la porta si è richiusa alle mie spalle e lo rimase per i tre giorni successivi, finché non venne chiesto l’intervento delle forze dell’ordine per sfondarla. Con il disappunto di tutti la stanza fu trovata vuota e di Myllow si persero le tracce. Mi riguardai dal raccontare quello che vidi alle autorità locali e tuttora desidero che la mia famiglia ne rimanga all’oscuro. Per questo non farò i nostri nomi.
Tuttavia, negli anni, non ho provato a cercarlo o a pormi altre domande. È stata una scelta razionale e ponderata. Dopotutto che cosa potevo contro un essere che probabilmente, non era nemmeno umano? Ma ora che riguardo quella foto, quegli occhi e quel portamento, mi ricordano molto il giornalista che mi ha chiesto di scrivere questa biografia e il tempo non lo ha cambiato di una virgola.
[Scritta da Schrödinger’s Cat per il mio amico Nevermore | Crediti per l'immagine di Myllow a Nevemore | Questa storia è deliberatamente ispirata a ‘Il modello di Pickman’ di H. P. Lovecraft (1926)]