Era una calda mattina del 1959, quando ricevetti quella lettera. Era il Dott. William. In essa ottenni la conferma del nostro appuntamento, che si sarebbe tenuto a casa sua: l’appuntamento era fissato la sera stessa alle nove in punto.
Arrivato davanti ad un maestoso cancello, due domestici vennero ad aprirmi. Mi addentrai in un viale alberato, alla fine del quale mi ritrovai dinanzi una villa enorme. Ad aspettarmi c’era un’altra dozzina di servitori.
'Molto accogliente il Dott. William' dissi tra me e me.
Uno di essi mi accompagnò in un grande salotto in stile ottocentesco, dove il Dott. William, seduto sul divano, attendeva il mio arrivo. Vedendomi arrivare si levò dal divano e venne a stringermi la mano, dicendomi: “Signor Mike! La stavo aspettando. Sapesse come sono felice di vederla”.
“Il piacere è tutto mio, Dott. William” risposi.
“La prego, venga a sedersi. Le offro da bere”
Mi sedetti su una poltrona di fronte al divano, sul quale ora si era riseduto. Parlammo subito del nostro affare: avrei dovuto scolpire una piccola statua raffigurante delle mani.Mentre parlava fui distratto: guardandomi intorno, vidi una grande quantità di statue, tutte raffiguranti un paio di mani. Erano tutte molto simili ed erano state fatte da grandi scultori contemporanei. Tutti morti, purtroppo.
“Vuole dunque che faccia una statua simile a quelle che ha già?” domandai.
“No, ma cosa ha capito? La statua non verrà fatta dalle sue mani.
Verrà fatta dalle mie mani,
con le sue mani“.
