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''Sequel di "Jane The Killer - The Real Story" ''
 
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Versione delle 21:59, 20 mag 2020


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Wake Up

Conosco questa casa. Mi fermai ad osservare il giardino ben curato della villa con il portone rosso. Non riesco a ricordare dove l'ho già vista, eppure mi è talmente familiare che posso quasi visualizzare la perfetta disposizione delle camere al suo interno. Mi guardai intorno, non c'era anima viva quella notte. L'unica compagnia che avevo era il ronzio della luce dei lampioni lungo il viale.

Appoggiai dolcemente la mano alla sbarra del cancelletto, scoprendo che era stato lasciato aperto. Il breve corridoio di ciottoli che divideva il giardino mi condusse al portone rosso. Osservai bene quella porta scarlatta. Mi ricordavo di lei, ma in maniera molto confusa. Guardando più attentamente notai che era solo socchiusa.

Chi diavolo lascerebbe aperta la porta di casa, di notte, con i tempi che corrono?!

Mi accalcai alla porta che, lentamente, mi condusse all'interno dell'abitazione. Con un gesto istintivo cercai e trovai l'interruttore della luce alla mia destra; la stanza si illuminò. Ma... come facevo a sapere dove fosse la luce? Stava diventando tutto ancora più strano di quanto già non fosse. Osservai l'immenso salone che avevo davanti. Un grande tavolo in legno con sei sedie, un divano in pelle nera con una poltrona a ciascun lato, una credenza, qualche mobile di bassa statura. Ciò che mi colpì in particolar modo, una foto sul mobile che sorreggeva il grande televisore a schermo piatto. Ritraeva una famiglia: mamma, papà e figlia, credo sui 14/15 anni. Mi sentivo stupida, eppure io sapevo benissimo chi erano quelle persone nella fotografia. Solo che non riuscivo a ricordarle, per quanto mi sforzassi. Gli occhi verdi della giovane ragazza sembrava mi stessero scrutando, penetrandomi nell'anima per cercare qualcosa che non sembrava voler affiorare.

Un tonfo al piano di sopra mi fece sussultare.

Il padrone di casa? O forse un ladro che era entrato da qualche finestra dimenticata aperta, come la pesante porta scarlatta?

Deglutendo rumorosamente mi diressi verso la scala che portava al piano della zona notte. Accesi la luce del corridoio, trovandomi di fronte tre porte. Chissà in che stanza era stato prodotto quel rumore di poco fa. La camera dei genitori? La porta a sinistra dunque, perché quella di destra... Un momento... Oh Dio, un'altra volta! Avevo di nuovo ricordato un particolare su quella casa! Ma com'è possibile?

Grat, grat, grat.

Il sangue mi si congelò nelle vene. Qualcosa, nella camera della ragazza dagli occhi verdi, stava raschiando contro una qualche superficie.

Grat, grat, grat.

Le mani tremavano incontrollabilmente, avrei voluto girare i tacchi e scappare via da quella stramaledetta casa. Ma la curiosità fu decisamente più forte della paura che mi scuoteva. Una scrollata di spalle per scacciare i brividi e un passo deciso verso la porta della camera.

Grat, grat, grat.

Strinsi forte il pomello della porta, la mano ancora tremava, lo girai. Spalancando violentemente la porta, venni brutalmente assalita... dal silenzio più totale. Cercai rapidamente l'interruttore della luce, trovandolo alla mia sinistra. Scattò con un sonoro "Clic!", permettendomi di aprire finalmente gli occhi. Non credo di essermi accorta di averli tenuti serrati. Mi trovavo davanti alla normalissima stanza di una normalissima ragazzina in età adolescenziale. Poster di attori famosi, modelli scolpiti dagli sguardi intensi e maliziosi, foto della ragazza e dei suoi amici appiccicate sul muro alle spalle del grande letto matrimoniale. Accanto ad esso, la classica sedia "ammucchia-vestiti" in dotazione ad qualsiasi adolescente. Feci un mezzo sorriso, che mi aiutò ad allontanare un pochino l'angoscia provata prima di entrare nella stanza. Angoscia che ricomparve per ricordarmi che ero in quella stanza per un motivo: avevo sentito dei rumori.

Che cosa aveva provocato quel tonfo che avevo sentito dal piano di sotto? E quello strano rumore simile ad un grattare? Chi, o cosa, aveva prodotto quei rumori? E, soprattutto, dov'è finito ora? Mi muovo alla perfezione in questa casa che mi sembra di aver già visto, o addirittura vissuto. Una casa enorme e stupenda, ma forse non completamente disabitata. Le persone che scorgo nelle fotografie mi ricordano qualcosa che non riesco a far tornare a galla. Dove sono quelle persone? E io perché sono qui? Che cosa mi ha portato in questo posto?

Un rumore di passi all'esterno mi distolse dalle mie domande, la ribalta più in alto della finestra era aperta, permettendomi di distinguere meglio i suoni al di fuori. Mi avvicinai alla finestra per guardare in giù e un brivido mi percorse. C'era qualcuno lì sotto, a guardare verso l'alto. Scattai indietro. Mi avrà vista? Merda, non avevo chiuso la porta rossa! Ora quel tizio sarebbe entrato in casa! Dovevo spegnere le luci e nascondermi alla svelta. Mi voltai per tornare al piano di sotto e, per poco non cacciai un urlo. Sul muro accanto alla porta, incisa con qualcosa che poteva essere uno scalpello (o un coltello...?) e ricalcata con della vistosa tintura rossa c'era una scritta : "Torna a dormire".

Non ebbi bisogno di sentire il suo odore intenso e pungente, sapevo perfettamente che quella scritta era stata fatta con il sangue. Ero pietrificata dal terrore. Come potevo non aver visto quella scritta quando ho dato uno sguardo alla camera? Era quello il rumore che avevo sentito dal corridoio?

Sentii la porta al piano di sotto chiudersi con forza. Cazzo, l'uomo sotto la finestra! La scoperta della scritta sul muro mi aveva fatto perdere tempo prezioso, e ora lui era in casa. Mi lanciai sull'interruttore e spensi la luce. Il buio mi avrebbe nascosta, permettendomi di fuggire da quello sconosciuto. Dal corridoio potevo vedere la luce ancora accesa nel grande salone principale. Nessun suono. Nessun movimento. Forse mi stava cercando in un'altra stanza, ma avrebbe scoperto presto che non ero in quel piano della casa. Sgattaiolai giù per le scale, e quello che vidi mi fece inorridire. I due genitori della fotografia erano legati alle sedie del grande tavolo, la testa reclinata sul petto. Dio mio, erano... morti? Uno di loro si. Sporgendomi un pochino potevo vedere la densa pozza di sangue sotto la sedia dell'uomo espandersi. Il suo petto era squarciato e il liquido cremisi sgorgava inarrestabile. Mi portai la mano alla bocca per non gridare, o per non vomitare. Entrambe le cose a questo punto avrebbero attirato il pazzo verso il mio nascondiglio precario. Un intenso e nauseante odore di sangue si infiltrava nelle mie narici, penetrando fino al cervello.

Che cosa potevo fare?

Scattare in piedi e correre verso l'uscita? Nah, e se quel bastardo fosse in agguato ad attendere solo quello? Sarei potuta restare nascosta, magari se ne sarebbe andato. Ma non potevo correre il rischio di restare ancora in quella casa, se fosse venuto in direzione della scala mi avrebbe sicuramente vista. Dovevo agire in fretta, ma ero terrorizzata e mi veniva da piangere. Non riuscivo a staccare gli occhi di dosso a quel poveretto al tavolo con il petto aperto in due. Non riuscivo a ricordare nulla, ma sapevo che erano brave persone. Il pensiero andava a quella povera donna, che si sarebbe svegliata trovando il corpo martoriato di suo marito proprio davanti ai suoi occhi. Sempre se quel maledetto assassino avesse deciso di lasciare in vita almeno lei. Ma... dov'era la giovane dagli occhi smeraldo? Era riuscita a salvarsi da quel maniaco?

A distogliermi dai miei pensieri, in un punto indefinito della cucina oltre il salone, delle fiamme divamparono rapide e prepotenti. Mi resi appena conto di ciò che stava accadendo, che le fiamme giunsero al tavolo del salone. L'odore di fumo, misto a quello della carne bruciata mi stava dando alla testa. Dovevo assolutamente uscire da quella maledetta casa! Fanculo a dove si è nascosto quel porco! Correrò verso la porta e, se dovesse spuntare all'improvviso davanti a me, lo travolgerò, se necessario. Scattai rapida verso la porta scarlatta, correndo in mezzo alle fiamme. Ero quasi ad un metro dalla porta. Ero quasi fuori da quell'inferno!

"Jane!"

Mi inchiodai sull'uscio, la mano appesa alla maniglia. Quella donna... mi stava chiamando? Mi voltai e la vidi tentare di divincolarsi dalle corde che la tenevano ancorata alla sedia. Il fuoco la stava divorando viva, potevo vedere la sua pelle lacerarsi e lasciare la carne alla mercé delle fiamme, inesorabili e affamate di morte. Guardava la sedia accanto alla sua e urlava. Urlava il mio nome.

"Jane, no!"

Perché mi sta chiamando? Perché lei si ricorda chi sono e io non riesco a ricordare niente di queste persone!?

"Jane, oh mio Dio, Jane!"

Il suo volto si sta sciogliendo e io non riesco a fare niente di diverso dal fissarla terrorizzata.

"JANE!"

Le fiamme ormai giunsero a me, quando capii.

"MAMMA!"


Mi alzai di scatto, urlando. Ogni muscolo del mio corpo, lingua compresa, bruciava come l'inferno. "Jane, per l'amor del cielo, calmati!" l'infermiera accorse e tentò di tenermi seduta al letto. Io urlavo, mi faceva male dappertutto, ma urlavo con tutto il fiato che avevo in gola. Sapevo di avere gli occhi aperti, ma ciò che vedevo erano solo fiamme e morte, accompagnate da una risata agghiacciante che echeggiava in sottofondo. Era malvagia, sembrava provenire dal Diavolo in persona. Non l'avrei MAI dimenticata.

Dopo pochi secondi sentii il corpo diventare debole e leggero. Mi appoggiai alla branda e, accanto a me, vidi l'infermiera iniettarmi qualcosa. "Chiamate immediatamente il Dottor Morgan!" gridò lei, ma la sua voce era così flebile, lontana. Chiusi gli occhi e il silenzio giunse lentamente a portarsi via quella risata sadica e agghiacciante, che ancora risuonava in lontananza come una ninna-nanna demoniaca.

Dopo qualche secondo, il nulla mi avvolse.

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Dreamlike Chaos

Ci era andata così vicina, l'ultima volta.

"Questa volta non falliró!" si disse fra se e se mentre correva nelle tenebre.

Aveva aspettato mesi per permettere alle sue ferite di rimarginarsi e poter riprendere la caccia a quel demone assetato di morte. Non aveva nessuna intenzione di perdere l'occasione di passare la sua gola a filo di coltello una volta per tutte.

Ogni traccia portava alla sua presenza: una paura inspiegabile delle tenebre, farfugliamenti su un volto innaturale, segni di una presenza visibili solo negli incubi di chi è stato scelto come vittima. E, cosa più importante ed inconfondibile, quella maledettissima frase, ripetuta da quel povero ragazzo come qualcosa di indelebile e terrificante. Non c'erano dubbi.

Poteva essere soltanto lui!

"Dannato figlio di puttana! Questa volta sarai mio!" pensó con i denti stretti dalla rabbia, balzando furtivamente sul tetto di una casa.

I lampeggianti delle auto della polizia squarciavano l'oscurità della notte. Agenti fuori nel giardino e, a quanto poteva scorgere, anche all'interno dell'abitazione.

" Merda! Sono arrivata tardi..." mormorò. Lo sguardo perso nel vetro in frantumi della finestra che dava su quel letto annegato nel sangue. Una madre, in quella casa, stava urlando fino a squarciarsi le corde vocali.

"Oh, al contrario, mia piccola Jane."

Quella voce la paralizzó per un istante. Si voltò lentamente, per incontrare quel volto tumefatto che la perseguitava da troppi anni.

"Mi stavi aspettando, Jeff?"

Lui allargò il suo sadico sorriso in maniera innaturale, sempre se di naturale quel volto avesse ancora qualcosa.

Averlo nuovamente di fronte le sembrava un dannato dejavù. Aveva cercato di ucciderlo più volte, e più volte le era scappato ad un soffio dalla morte.

Ripensó ancora una volta al loro ultimo incontro, 7 mesi prima, a Denbigh. Dio, quanto ci era andata vicina quella volta. La cicatrice le riprese a pulsare fra le scapole, quasi avesse riconosciuto il demonio che gliel'aveva procurata con il suo coltello e tremasse al suo cospetto. Per un momento riuscì ancora a sentire il calore delle fiamme che avvolgevano entrambi i loro corpi. Lei che moriva di dolore, ma nonostante tutto lo teneva stretto in una morsa inespugnabile. Poi, il nulla.

Si era risvegliata in un bosco, sanguinante e terribilmente ustionata. C'era il suo coltello piantato in un albero accanto a lei, con un foglietto impigliato nella lama. Si era rialzata con uno sforzo che andava aldilà delle sue attuali possibilità e si era avvicinata barcollando allo strano appunto macchiato di sangue.

"La tua bellezza è pericolosa per me, Jane, riesci a farmi dimenticare i miei doveri. Forse non sei ancora degna di essere nominata mia rivale, ma la cosa certa è che, dopo questa splendida serata insieme, sono più che sicuro che tu non sia ancora pronta per andare a dormire. Qui sotto c'è un regalo per te. Non voglio che la mia Jane vada in giro con un vestito bruciacchiato. Rieccoti il tuo coltello, è già la seconda volta che te lo restituisco. Ci vediamo presto, mia cara."

- Jeff

Jane strinse con la poca forza che aveva quel foglietto imbrattato e fece correre lo sguardo ai piedi dell'albero. C'era un pacchetto di carta rosa, annodato con un nastro marrone. Un brivido le solcó la schiena. Era lo stesso pacchetto che ricevette da Jeff quando si era risvegliata dall'ospedale 8 anni prima, dopo il massacro della sua famiglia.

Lo colse e tremò nel tirare la stringa per scartarlo, sapeva perfettamente cosa conteneva.

Come sospettava, estrasse dal pacchetto un lungo abito nero a collo alto, perfettamente identico a quello che Jeff le fece recapitare anni prima, e una parrucca nera, riccia, anch'essa come quella rinvenuta nel pacchetto all'ospedale. Al fondo della scatola, una rosa nera.

Il brivido si trasformò presto in rabbia, mista a stupore. Come poteva avere tutto pronto in quel pacchetto, se il loro scontro si sarebbe dovuto concludere con la morte? Era stato ancora una volta un passo avanti a lei? Sapeva già che non sarebbero morti nell'incendio in quel manicomio e aveva già pianificato tutto? E anche ora che si trovavano nuovamente faccia a faccia su quel tetto aveva previsto tutto? Davvero l'aveva aspettata? Davvero sapeva che sarebbe venuta proprio lì e proprio quella notte? Aveva ucciso quel ragazzo proprio quella notte per dimostrarle che, come sempre, era un passo avanti a lei?

"Sei puntuale come sempre, mia cara. Sono felice di vedere che le tue ferite sono guarite."

Jane sguainó il coltello e si gettò addosso al suo avversario. Jeff schivó abilmente l'affondo, sorridendo come un sadico.

"Dannato bastardo, questa volta siamo alla fine! Non eviterai la morte come quella notte a Denbigh!" gli ringhió contro la ragazza.

Rendeva grazie al suo finto volto di plastica, un dono di Jeff quasi 9 anni prima. Quel malato di mente non doveva scorgere che nei suoi occhi, accanto al fuoco della rabbia, bruciava ancora la paura di quel dannato viso bianco e demoniaco. Per quanto lo avesse visto decine di volte, quel volto scolpito nel male sapeva ancora farle gelare il sangue nelle vene.

Ma lei non poteva cedere alla paura. Era la seconda sopravvissuta alla furia devastatrice dell'oscuro e ricercato Jeff The Killer, privata della famiglia, di una casa e di ogni altro affetto che aveva da ragazzina. Più volte si era sentita così stupida ad aver creduto in lui, ad avergli lasciato quel maledetto biglietto dopo l'aggressione di quei 3 piccoli bastardi.

Troy, Keith e Randy. Dio se Jane se li ricordava bene. Erano stati loro a creare quel mostro. Sempre loro ad annientare la sua psiche, facendolo sprofondare nell'oblio e nella follia. Quel volto pallido e maligno, che celava la più sadica malvagità che l'umanità avesse mai visto, era la loro creazione.

E lei doveva distruggerla.

"La fine?"

Jeff si portò il coltello insanguinato all'altezza del suo abominevole sorriso. Tirò fuori la lingua e assaporó il sangue lungo tutta la sua lama. I suoi occhi sembrarono spalancarsi ancora, stampati al di sopra di quel ghigno malvagio.

"Siamo ben lontani dal concetto di fine, mia cara. Ti ho aspettata qui perché volevo vederti ancora, perché non riesco a farne a meno. Sei così bella, Jane."

Jane si strappò la maschera dal viso. Gli innesti di pelle e il corpo forte e giovane avevano aiutato molto la sua guarigione, ma l'incendio che l'aveva divorata ferocemente aveva impedito la nascita della sua reale bellezza.

" Ti sembro così bella, figlio di puttana? Guarda il mio viso! Sei stato tu a ridurmi così, bastardo!"

"Ammetto di aver avuto qualche intoppo quella sera, ma ero inesperto e non avevo abbastanza tempo. E di questo non mi perdonerò mai abbastanza. Non ti chiederò mai abbastanza volte scusa per non essere riuscito a rendere il tuo viso degno di stare al mio fianco. Ma potrei rimediare... Potrei disegnare un incantevole sorriso sotto lo smeraldo dei tuoi occhi. Si... Si, così saresti... Perfetta."

Jeff pareva inebriato dal pensiero del volto di Jane con un sorriso simile al suo, il volto della perfezione secondo i suoi canoni.

Il viso di Jane si contrasse in una smorfia furibonda. Alzò il coltello, ma Jeff tese un braccio verso di lei.

"Non si può, mia cara. Ci sono decine di poliziotti in giro a cercare l'artefice di quello che loro definiscono assassinio. E prima ancora che tu mi risponda che non ti importa della polizia, che l'unica cosa che vuoi in questo momento è uccidermi, intendo farti notare una cosa. Sei nota in questo mondo tanto quanto me, Jane. Non mi trovano d'accordo, ma il soprannome che ti hanno dato, Jane The Killer, ha fatto il giro dello stato accodato dietro al mio. Se ora ci battiamo su questo tetto, la polizia ci troverà e onorerà l'ordine ricevuto di sparare a vista. Inseguo il mio obiettivo da quasi 10 anni, sono sopravvissuto a tutto ciò che mi è stato fatto, e il sangue che tinge il mio coltello ne è la prova."

"Ragazzini, adulti e poliziotti. Ho messo a dormire tutti coloro che ho trovato sulla mia strada. Tutti... Eccetto tu e un ragazzo che, come nel tuo caso, non ho ritenuto all'altezza di potersi addormentare. Posso scappare facilmente, sono bravo a far perdere le mie tracce, e tu questo lo sai meglio di chiunque altro. Ma tu? Il tuo credo è di essere l'unica persona in grado di fermarmi. E cosa ne sarà della tua nobile causa quando verrai uccisa dal fuoco della legge? Lascerai il mondo nelle mie mani, senza nessuno che possa ostacolarmi?"

Dannato bastardo manipolatore. Credeva davvero che con una scusa come quella, Jane lo avrebbe lasciato andare? Proprio ora che, dopo mesi, erano di nuovo faccia a faccia?

Eppure, Jane abbassò la lama del suo coltello in segno di resa. Se fosse stata uccisa dalla polizia, nessuno avrebbe più potuto fermare Jeff. Nessuno avrebbe più potuto avvertire le sue vittime del suo arrivo. Tremava di rabbia, ma quel sadico mostro aveva ragione.

"Sono felice di non sbagliarmi a pensare che sei davvero intelligente, nonostante la tua determinazione." disse Jeff allargando ulteriormente il suo orrido sorriso.

"Allora andiamocene in un posto tranquillo, dove posso ammazzarti senza che nessuno si intrometta!" gli ringhió Jane.

Lui alzò il dito e lo scosse in segno di dissenso.

"Quanto amo il tuo carattere focoso. Ma, come ti ho detto, la fine non è ancora un capitolo visibile nella tua storia, mia cara. Ci sono ancora tante, troppe cose che la tua amnesia tiene con sé. E vorrei avere di fronte a me una Jane assolutamente consapevole di tutto ciò che l'ha spinta verso di me. Te lo ripeto, mia cara. Non è ancora il momento, per te, di andare a dormire."

Detto questo, Jeff ripose il coltello nel tascone della sua felpa e si voltò per andarsene.

Jane voleva intimargli di fermarsi, voleva ucciderlo ora su quel dannato tetto. Ma nessuna parola uscì fuori dalle sue labbra. La voce le si era bloccata in gola, forse perché il suo cervello aveva messo in moto dei pensieri diversi da ciò che lei credeva di voler dire al killer.

Cosa ne puoi sapere tu della mia amnesia? Che diavolo stai aspettando a batterti con me? Di quale consapevolezza stai parlando? Sai qualcosa che a me non è dato sapere?

Mai dei pensieri l'avevano aggredita in modo tanto violento. Si sentiva sola da tanti anni ormai, e quella solitudine aveva finito per abbracciarsi con la rabbia e la sua sete di vendetta. Ma ora, inspiegabilmente, c'era qualcos'altro che si stava facendo strada nei suoi pensieri. Qualcosa che non aveva mai percepito in tutti questi anni, che non si era mai preoccupata di cercare.

Che cosa poteva sapere Jeff sul suo passato? Aveva ucciso i suoi genitori, i suoi amici e l'aveva rinchiusa in un inferno di fiamme per il puro e sadico piacere di sfigurarla per sempre. Era questo che alimentava il suo corpo e la spingeva a cacciarlo come un animale. E ora, perché questo non l'aveva spinta ad ucciderlo su quel tetto? Perché non le bastavano più i fatti accaduti nel corso della sua adolescenza a farla rialzare e rincorrerlo nella notte?

Jeff era ormai sparito, lontano da quel vortice mentale in cui Jane era rimasta intrappolata. La ragazza tornó quindi nel suo lugubre nascondiglio con la testa in ebollizione.

Quella vecchia casa spersa nel bosco era diventata la sua nuova dimora, dopo la battaglia con Jeff a Denbigh. Il luogo dove si era risvegliata distava poche centinaia di metri, e all'epoca le sembrò stupido tornare nella sua vecchia catapecchia a Brookfield ustionata e in fin di vita. Senza contare che fu lì che Jeff portò le vittime del suo sadico giochino svoltosi al vecchio manicomio di Denbigh.

Era una casa molto grande, abbandonata, ed era stata semi-distrutta da un incendio una decina di anni prima. Aveva sentito delle vecchie storie su quella casa, durante le sue ronde notturne alla ricerca di Jeff.

Ci abitava una coppia benestante con un figlio. Una notte, l'uomo tornó a casa e la trovò in balia delle fiamme. Si precipitò dentro e cercò di tirare fuori la sua famiglia, ma sfortunatamente fallì.

Le storie raccontano che vaghi ancora per quei boschi alla ricerca del suo povero figlio.

Iniziarono così le prove di coraggio fra i ragazzi della città vicina per addentrarsi nella casa e nel bosco che la circondava. Qualcuno disse di non aver visto nulla, qualcuno blatera di un uomo con il volto di un fantasma che lo ha inseguito. Dopo pochi anni, gli sciacalli portarono via ciò che poteva essere trasportato e lasciarono la villa in preda al decadimento, troppo dispendiosa per essere buttata giù o ristrutturata.

Fu così dimenticata, e Jane non poteva essere più d'accordo. Nessuno avrebbe fatto irruzione nel suo covo, nessuno l'avrebbe scoperta mentre il pensiero delle parole di Jeff la tormentava.

"Ci sono ancora tante, troppe cose che la tua amnesia tiene con sé..."

Che cosa intendeva dire con questo? Aveva dei vuoti da quando si era risvegliata, è vero, ma non aveva mi pensato che potessero contenere qualcosa di importante.

Si ricordava bene della notte dell'incendio, la sua mente era in grado di proiettarle tutto davanti agli occhi come fosse un terribile film dell'orrore.

Si ricordava perfettamente che era successo lo stesso giorno che Jeff era tornato dall'ospedale. Lei aveva visto il suo viso terribilmente ustionato ed era svenuta, risvegliandosi poi nella sua casa vuota.

Il suo cervello si arrestò bruscamente, come a farle capire che in quel punto della pellicola c'era un'anomalia che non permetteva alla "proiezione" di continuare.

Lo stesso giorno... Era impossibile! Conosceva bene il primo omicidio di Jeff, era stato scoperto 3 giorni dopo che era tornato dall'ospedale! Ne era certa. Lo sapeva perché...

Perché...

"Pronto, polizia? Salve sono Gregory Arkensaw. Ciao Hank. Non mi piace fare il vicino impiccione, ma, ecco... Come sai, abitiamo di fronte ai Woods e, insomma... Non mi sembra il caso di ricordarti ciò che è successo a loro figlio Jeffrey. Povero ragazzo... Ad ogni modo, da quando è tornato dall'ospedale non abbiamo più visto nessun membro della famiglia, come se fossero svaniti nel nulla. Sai, non vorrei che fosse capitato qualcosa di brutto, viste le condizioni di Jeffrey."

L'agente alla stazione di polizia domandò se fosse necessario l'intervento di una pattuglia, a quanto pare.

"Sarebbe molto gentile da parte tua, Hank. Andrei io stesso a bussare alla porta, ma mi sentirei terribilmente in imbarazzo. Potrei chiederti di mantenere l'anonimato con i signori Woods? Come se fosse... Un semplice controllo. Sono arrivati da poco e, Dio quante sfide hanno già dovuto sopportare. Non vorrei aumentare ulteriormente questo plico aggiungendo anche il vicinato ficcanaso. Grazie Hank, ti devo un favore."

Quel flashback la fece sobbalzare giù dal letto.

"Cosa... Cazzo...?"

Si portò una mano alla tempia pulsante con lo sguardo perso nella stanza.

Questo non lo ricordava affatto. Era stato suo padre a chiamare la polizia. Erano stati loro ad avvertire le autorità che nella casa di Jeff non si percepiva alcuna attività. Erano stati loro a far scoprire alla polizia i corpi di Peter e Margaret Woods e del povero Liu.

"Mio Dio... Non è possibile..." mormorò jane scivolando lungo il muro fino a sedersi sul pavimento.

Come poteva aver dimenticato una cosa simile? Come poteva l'amnesia averle portato via un ricordo così legato a Jeff?

L'amnesia...

Era questo che intendeva Jeff su quel tetto? Certo, lui non aveva avuto un'amnesia, ricordava tutto alla perfezione, ma come faceva a sapere quali informazioni era lei a non ricordare?

Jane si concentrò di nuovo su quel flashback, cercando di superarlo e vedere che cosa ci fosse dopo... O prima... Ma era tutto così confuso, le immagini dei suoi genitori morti le esplodevano davanti agli occhi mandando all'aria tutta la sua concentrazione.

Si arrampicó di nuovo sul letto e scoppiò a piangere, senza nemmeno rendersi conto di addormentarsi nel dolore delle sue lacrime.

La sua mente non ebbe pietà nemmeno della fragilità di quel sonno disperato, bombardandola con immagini agghiaccianti di Jeff che disegnava orridi sorrisi sul volto dei suoi amati genitori con il suo fidato coltello. Lei urlava, gli diceva di smetterla, gli dava dell'assassino senza cuore, ma più gridava e più la sua lama affondava in profondità nella carne delle sue vittime. Alzò la testa, regalandole il brivido di terrore di uno sguardo intenso e malevolo mentre si avvicinava. La sua voce si era spenta, la sua voglia di scappare era svanita. Sapeva che Jeff ora l'avrebbe pugnalata a morte senza pietà.

Lui invece si accovacció di fronte a lei e inclinó su un lato la testa, rendendo il suo volto ancora più terrificante, se possibile.

"Non devi avere paura di me, mia cara Jane. Io e te siamo amici. Siamo simili. Credi che le tue vittime siano felici di ciò che hai fatto per loro?"

"Jeff... Cosa stai...?"

"Jane, sei tu?"

Una voce dolce e familiare emerse dalle spalle del killer.

"Vieni avanti. " disse Jeff alzandosi in piedi.

Era una ragazzina di 14, 15 anni, con dei lunghi capelli biondi. Jane la osservò bene, cercando un ricordo di lei. Nulla, non riusciva a ricordare chi fosse.

"Non ti ricordi di me, vero?" mormorò la ragazzina con le guance arrossite.

Jane scosse la testa. Scrutava i suoi occhi nocciola per trovare un indizio, ma non lo vedeva.

"Tu mi hai fatto questo, Jane." la ragazza sollevò la testa mostrando qualcosa che solo ora era diventato visibile.

La ragazza bionda aveva la gola tagliata da orecchio a orecchio. Dalla ferita fluiva fuori del sangue denso e rossastro.

Jane si paralizzó.

"Sei stata tu, mia cara. Tu hai reciso la gola di questa ragazza. Mi hai preceduto e ti sei presa la sua vita." asserì Jeff con un ghigno sadico stampato in viso.

"No... Non è vero!"

"Oh si che è vero. E lei è soltanto una delle persone che hai messo a dormire prima che lo facessi io. La tua lama è imbrattata tanto quanto la mia, Jane. Abbiamo obiettivi differenti, ma un unico e comune mezzo per raggiungerli. Ecco perché ti chiamano così. Ecco perché ti chiamano Jane The Killer."

Jane si sollevò dal suo letto urlando. Fece saettare lo sguardo per la stanza lugubre e lievemente illuminata dal sole.

Finalmente era sveglia.

Sveglia e con nuovi pensieri che le occupavano la mente. Il suo passato. Ciò che aveva fatto pur di dare la caccia a Jeff.

Possibile che quel mostro le avesse manipolato la mente a tal punto da creare una falla nel suo incrollabile obiettivo? Possibile che quei pensieri fossero così forti da offuscare il desiderio di vendetta? Uccidere Jeff le avrebbe permesso di dare un senso a tutti questi anni di caccia. Ma, dopo la conversazione su quel tetto, era davvero ciò che doveva fare?

Scosse la testa per scacciare quella domanda stupida, ma la convinzione che Jeff sapesse qualcosa che lei doveva conoscere si stava ormai insinuando in lei. Il flashback della sera prima l'aveva lasciata con più interrogativi che mai.

E se fosse stato solo un raggiro? Se Jeff avesse usato quelle parole per confonderla? Lei avrebbe seguito un'altra pista e lui avrebbe potuto agire senza averla tra i piedi. Non le avrebbe più soffiato nessuna vittima.

Già... Le vittime.

Jane estrasse il coltello dalla fondina e si specchió intensamente nella sua lama. Quella lama intrisa del sangue di tante, troppe persone che avevano l'unica colpa di essere state scelte da Jeff.

Le venne in mente un fatto accaduto a Chasefield, due anni dopo il massacro della sua famiglia.

Aveva seguito le tracce di Jeff fino a quella città, sicura che avrebbe colpito presto. Dopo un paio di giorni s'imbatté in una casa in collina, un padre preoccupato aveva richiesto l'aiuto delle forze dell'ordine per il figlio di 15 anni.

Jane, silenziosa come un gatto, si era appostata in un punto del giardino abbracciato dall'oscurita e aveva ascoltato la conversazione del giovane, un certo Tyler, con i poliziotti.

La sera prima, il ragazzo aveva iniziato a sentire un rumore all'esterno, come di un oggetto che batteva su di una superficie ad intervalli regolari. Infastidito dal suono, aprí la finestra e diede uno sguardo fuori, notando un tizio incappucciato dall'altra parte della strada. Lì per lì stette ad osservare che quel tizio non avesse strane intenzioni, ma quando si tolse il cappuccio...

Tyler venne investito da una tonnellata di terrore immediato e chiuse velocemente la finestra, sotto il sorriso demoniaco di quel pazzo dall'altra parte della strada.

Jane non aveva nessun dubbio. Si trattava di Jeff.

La sera dell'intervento della polizia, Tyler dichiarava di aver sentito di nuovo quel rumore battente e di aver sentito bisbigliare. Aveva chiamato il padre con un grido e gli aveva raccontato del tizio della sera precedente.

Non sapeva spiegarselo, Jane. Ma sapeva che quella notte, Jeff avrebbe colpito.

Si allontanò di un paio di isolati mentre gli agenti perlustravano il perimetro della casa, attendendo che se ne andassero. Non lo avrebbero trovato, Jeff, era troppo bravo a nascondersi nella notte.

Attese un paio d'ore, senza mai perdere di vista l'abitazione, poi forzó silenziosamente la porta d'ingresso e s'introdusse nella casa.

Si sentiva al sicuro, vestita completamente di nero, ammantata dalle tenebre della notte. Il russare del padre di Tyler copriva il rumore dei suoi stivali sulla scala che dava al piano di sopra.

Una volta nella camera del ragazzo, mise in atto il suo piano per salvarlo.

Tap, Tap, Tap.

Tyler spalancò gli occhi, terrorizzato da quel suono che aveva avuto la sfortuna di conoscere. Saettó con lo sguardo sul soffitto, restando attirato da un singolare foglio appeso sulla sua testa.

L'inchiostro rosso diceva: - Non urlare, sono qui per aiutarti. Dimmi "ok" e mi farò vedere. -

Il ragazzino deglutì rumorosamente.

"... O-ok..." mormorò flebilmente.

Jane fece capolino dal retro della porta della sua stanza. Tyler sgranó gli occhi alla vista del viso inciso sulla sua maschera di plastica, e Jane alzò un dito sulle labbra in cenno di silenzio.

Si avvicinò fino al letto e si inginocchiò.

"Tyler, hai mai sentito parlare del killer di nome Jeff?" Gli domandò pacatamente.

Il ragazzo annuì tremando.

"Ed è lui che hai visto ieri sera, dall'altra parte della strada, non è vero?"

Un'altra risposta affermativa.

"Vedi, Tyler... Jeff ti ha scelto. Probabilmente ti ha puntato per il tuo comportamento a scuola, il suo modus operandi è quello di farla pagare ai bulli, ai prepotenti. Magari lo fai anche in strada, o a casa. O magari non hai fatto nulla di tutto questo e sei semplicemente un povero ragazzo sfortunato su cui lui ha messo gli occhi. Io non so rispondere a questa domanda. Ma so che lui verrà da te e che ti ucciderà, non importa che cosa tu possa fare. E che cosa io possa fare.

Posso solo aiutarti promettendoti che non sarà il suo orrendo volto l'ultima cosa che vedrai. Non meriti questo terrore."

Tyler non poteva certo immaginarlo, ma aveva appena esalato il suo ultimo respiro.

"Non andare a dormire, non ti sveglierai..."

Jane alzò il braccio armato di coltello e pugnaló il petto del ragazzo, proprio sul cuore. Tyler non reagì, morì in un paio di secondi.

Jane ripulì la lama del suo coltello sul lenzuolo bianco e lo ripose nella fondina. Odiava questa parte della sua caccia, ma non poteva permettere a Jeff di terrorizzare le sue vittime con il suo sorriso e poi ucciderle mentre erano paralizzate dalla paura. Il suo volto malefico non doveva essere il loro ultimo ricordo su questo mondo.

Il rumore di un colpo secco la distrasse. Strappò il foglio dal soffitto e sgattaioló fuori dalla finestra, in tempo per sentire le urla disperate del padre di Tyler evadere nella notte.

Il ragazzo fu uno dei tanti che Jane aveva "salvato" dalle grinfie di Jeff.

"... La tua lama è imbrattata tanto quanto la mia..." le aveva detto lui in sogno.

Odiava ammetterlo, ma Jeff non aveva torto su questo. Aveva giurato di catturare il killer e di mettergli i bastoni fra le ruote ad ogni sua mossa. E questo era il meglio che poteva fare? Ucciderle al posto suo? Non c'era da meravigliarsi se anche lei era additata come un'assassina.

Le vite strappate che pendevano sulla sua testa non erano diverse da quelle collezionate da Jeff. Eppure, per magra consolazione, su una cosa aveva perfettamente ragione.

Non poteva difendere le sue vittime da Jeff. Non riusciva mai ad avere la meglio su di lui, sembrava invulnerabile. Ogni coltellata, ogni ferita non faceva altro che renderlo più feroce e spietato. Tendeva delle trappole da manuale e sembrava quasi che avesse il dono della premonizione. Erano questi i doni che aveva ricevuto in cambio della sua anima?

La notte dell'incendio al manicomio era certa di averlo in pugno, si era spinta fino al suicidio pur di portarlo con sé all'inferno. E durante i mesi in cui le ferite e le ustioni di lei guarivano dolorosamente, Jeff aveva continuato ad uccidere come se niente di tutto quello che lei gli aveva fatto lo avesse in qualche modo scalfito.

Dopo quasi 9 anni di caccia ossessiva, non aveva ottenuto altro se non anime innocenti sulla coscienza e cicatrici indelebili nel corpo e nella mente. E con quanto ancora di tutto questo doveva fare i conti le era oscuro.

Oscuro come il suo passato.

Che cos'altro celava la parte della sua mente avvolta dall'amnesia? Altro orrore? O ricordi inutili che la intralciavano nella sua caccia all'uomo?

Ricordi...

Anche se il suo sonno era stato minato dagli incubi, il riposo aveva ricaricato le batterie. Il suo cervello si mise in moto e le portò a galla un'altra oscura curiosità.

"La telefonata di mio padre... I cadaveri della famiglia di Jeff sono stati trovati 3 giorni dopo..."

"Pronto, polizia? Salve sono Gregory Arkensaw. Ciao Hank. Non mi piace fare il vicino impiccione, ma, ecco... Come sai, abitiamo di fronte ai Woods e, insomma... Non mi sembra il caso di ricordarti ciò che è successo a loro figlio Jeffrey. Povero ragazzo... Ad ogni modo, da quando è tornato dall'ospedale non abbiamo più visto nessun membro della famiglia, come se fossero svaniti nel nulla. Sai, non vorrei che fosse capitato qualcosa di brutto, viste le condizioni di Jeffrey."

"Com'è possibile? C'erano tutti a quel tavolo..."

Erano i miei genitori, i genitori di Jeff, suo fratello Liu, ed i miei amici. Erano tutti morti. Con sorrisi scolpiti nei loro volti ed enormi cavità rosse in petto.

"Non possono essere successe entrambe le cose... O, forse si?"

"Jane, tesoro! Che cosa succede?"

"Ho... Ho avuto un incubo."

"Era solo un sogno, piccola mia. Solo un sogno."

"Ma sembrava così reale! Voi eravate stati... Eravate legati ad un tavolo e io... Ero costretta a guardare! Poi mi ha versato addosso della candeggina, della benzina e ha acceso un fiammifero... E poi mi sono svegliata in ospedale, ustionata e con il viso rovinato! Sono scappata e... Urlavo, di fronte alle lapidi con i vostri nomi, giuravo vendetta... "

"Jane, stai calma. Era soltanto un sogno, amore mio. Chi era a farti tutte queste cose?"

"Era... Il suo volto..."

"Probabilmente non te lo ricordi, ora che sei sveglia."

"No, io... Non l'ho visto bene in faccia... Scusami se ho urlato papà, non volevo spaventarti."

"Ma quali scuse, principessa! Fortuna che ti ho sentita io, la mamma non l'avrebbero svegliata neanche con le cannonate."

"È stato solo un sogno..."

"Un sogno..." mormorò Jane con lo sguardo vitreo.

Lo sterminio di massa, l'incendio in casa di Jeff. Il risveglio dall'ospedale, il suo orrendo regalo, la fuga al cimitero. Era stato tutto un sogno. La sua amnesia era stata così meschina da portarle via questo ricordo? Che altro c'era in quella gabbia di ricordi proibiti? Cosa diavolo era successo realmente quella notte?

"Un momento... Il sogno che ho avuto in ospedale! E se fosse..." Jane balzò in piedi con un idea che cominciava a rendersi luminosa nella sua mente.

L'amnesia le aveva mischiato sogno e realtà? Ciò che credeva fosse reale si era rivelato essere un orrendo incubo. E se il sogno che aveva avuto poco prima di svegliarsi, se quello fosse la realtà?

Jane attese il calare del sole. Abbandonò il suo angusto nascondiglio, addentrandosi nell'oscurità di una notte senza luna.

Quella notte, la caccia poteva aspettare.

- Racconto scritto da Captain Mantis



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Jane the Killer - The Real Story