Creepypasta Italia Wiki
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Consiglio di mettere sottofondo quesa canzone: http://www.youtube.com/embed/5UTRApG_9kY



Buona lettura (:


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Lady Thistle

<< L'aria fredda e tagliente della sera passava lentamente sulla pelle di una ragazza che si trovava in un piccolo giardino a lato di una casa bianca, bassa e dalle finestre illuminate, facendole venire la pelle d'oca sulle gambe, protette solamente da un sottile strato di stoffa nera.

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Il sole pallido stava tramontando all'orizzonte ed era coperto dalle grandi nuvole grigie che coprivano il cielo d'autunno, illuminando di poco la pelle pallida e i capelli color grano della diciassettenne. Quest'ultima era inginocchiata a terra, chinata verso un piccolo angolo del giardino, mentre con lo sguardo basso osservava dei cardi davanti a lei.


Cardi: misantropia, odio, freddezza e lontananza. Queste erano le parole attribuite a quel fiore, a quell'erbaccia piena di spine, che spesso andava a distruggere le piante vicino per poter sopravvivere.


La ragazza allungò una mano verso la spina acuminata, premendo contro di essa e vedendo il sangue scorrerle lungo il palmo, arrivando a impregnare le bende che aveva lungo tutto l'avambraccio.


<< Victoria... Sapevo che eri qua. >>


La ragazza si voltò, portando lo sguardo verso la porta di legno della casa che era leggermente aperta e da cui una figura spuntava.


La bionda si alzò, guardando la donna che le aveva parlato poco prima con uno sguardo impassibile, come se fosse abituata al tono crudele della voce della donna, che nel frattempo era passata a squadrare la ragazza.


Il viso tirato, le labbra sottili ed inespressive e i tratti somatici duri erano perfetti a incorniciare gli occhi color ghiaccio della donna, sottolineati anche dalle profonde occhiaie.


Appena lo sguardo inquisitore si posò sulle bende intrise di sangue la bocca si piegò in un'espressione di disgusto e la donna iniziò a camminare verso Victoria con passo veloce, tenendo i pugni chiusi lungo i fianchi, mentre la ragazza socchiuse leggermente le labbra, facendo passare attraverso il suo sguardo un lampo di timore e preoccupazione.


La donna portò con uno scatto una mano in avanti, afferrando il polso della ragazza con violenza, iniziando a tirarla dentro casa.


<< Cosa diavolo stai facendo qua fuori?! Ma sei normale?!>> Ringhiò la donna, mentre con le unghie perforava di poco la pelle della ragazza, lasciandole piccoli segni sui polsi.


La trascinò lungo il piccolo corridoio color panna che univa il modesto soggiorno alle camere da letto. Con uno strattone sbatté Victoria dentro una stanza buia facendola cadere a terra, sbattendo subito dopo la porta con fervore, facendo vibrare i muri macchiati d'umidità.


Victoria si massaggiò il polso dolorante, mentre si alzò lentamente andando ad appoggiarsi al muro freddo.


<< Perché non sei come tua sorella eh?! Perché non prendi esempio da lei?! >> Gridò la madre dalla cucina con la sua voce autoritaria e velenosa.


La ragazza si fece scivolare lungo il muro, mentre teneva lo sguardo perso nel vuoto e con le mani andò a togliersi le bende, lasciandole cadere sul parquet, mentre la sua mente iniziò a vagare facendole provare un brivido lungo la schiena.


Minuti di silenzio passarono, mentre Victoria continuava a concentrarsi su una piccola macchia presente sul muro dall'altra parte della stanza.


Improvvisamente la porta si spalancò, facendo sobbalzare la ragazza che, risvegliandosi da quei pensieri, si guardò le braccia, inorridendo e piegando la bocca in un'espressione amareggiata.


"Ancora... Ancora... Perché...?" Pensò la ragazza, per poi spostare lo sguardo terrorizzato su un paio di mocassini neri che si stavano facendo strada nella stanza. Si raggomitolò in se stessa, coprendosi il volto per nasconderlo.


Il padre della ragazza alzò la mano in aria e subito Victoria iniziò a tremare, stringendo gli occhi con forza.


Il silenzio venne squarciato dal rumore di una forte sberla che il padre le diede sulla testa, facendola sbilanciare da una lato e cadere a terra.


<< La mamma mi ha detto che sei uscita oggi pomeriggio. >> Iniziò, chiudendo gli occhi e sospirando deluso.


<< Quante volte ti ho detto che non devi nemmeno pensare di farlo?! Quante volte ti ho detto che noi abbiamo una reputazione, un orgoglio. Che direbbero le persone se ti vedessero, eh?! Te lo dico io... Con quella mania di tagliarti e con la tua pelle da malaticcia... Creeresti soltanto problemi a noi! >> Urlò poi, corrugando la fronte.


Victoria abbassò lo sguardo e vide le cicatrici, le lacerazioni e il sangue scorrerle sugli avambracci.


Sentendo le parole del padre provò ancora una volta quella sensazione, quel sentimento che si faceva strada nel suo cuore, nella sua mente.


<< Io e tua madre stiamo per uscire, dobbiamo andare ad una festa dell'azienda. Lydia arriverà a momenti. Ovviamente mi aspetto che tu ti prenda cura di lei stasera, fino al nostro ritorno. >> Concluse con tono autoritario, sistemandosi la cravatta rossa e uscendo dalla stanza.


Dopo poco al rumore dei passi di suo padre si aggiunse quello provocato dai tacchi di sua madre, che rimbombava per le stanze.


Una manciata di secondi e la porta d'entrata si chiuse con un tonfo, facendo crollare nuovamente il silenzio all'interno della struttura.


Victoria appoggiò la testa al muro mentre la sentiva ancora scottare per la sberla di suo padre.


Si alzò con difficoltà, tenendo le braccia lungo il corpo e lasciando il sangue inzuppare i pantaloni neri, sentendoli a poco a poco sempre più pesanti e bagnati.


La vista si annebbiò un po' mentre trascinava lentamente i piedi verso la scrivania vuota, su cui vi era solo una penna nera e una lampada da tavolo.


Victoria allungò la mano aprendo il piccolo cassetto sotto la scrivania, mentre il rumore delle gocce di sangue che cadevano dal braccio interrompevano il silenzio di tanto in tanto.


Prese delle bende e le avvolse con cura attorno all'avambraccio, mentre guardava passivamente il contenuto del cassetto.


Le cartelle cliniche e i fogli dell'ospedale erano ammassati, spiegazzati senza riguardo.


Victoria era una ragazza speciale, se così si poteva definire.


La sua specialità stava nel suo sangue, nella sua pelle e, da qualche anno, nella sua testa.


Sindrome di XP la chiamavano i medici. In poche parole se anche solo un piccolo e flebile raggio di sole si fosse posato sulla sua pelle, melanomi, tumori e scottature si sarebbero generati in quel piccolo lembo di pelle esposto alla luce.


Victoria non poteva uscire di giorno, per questo non era mai andata a scuola. I suoi genitori furono obbligati a istruirla per otto anni, secondo la legge, pagando insegnanti privati. Non era mai andata in piscina, al mare, al parco a giocare con i propri coetanei. A dire il vero non aveva mai avuto amici. A volte, quando era piccola e le giornate erano nuvolose, provava ad uscire, di nascosto, facendo un giro nel vicinato.


I bambini appena posavano lo sguardo sulla pelle diafana, sulla faccia scarna e sugli occhi chiari si fermavano, interrompendo ciò che stavano facendo. I sorrisi sui loro volti si spegnevano e gli sguardi divenivano spaventati, impressionati, come se avessero appena visto un fantasma.


Dopotutto... Lei era come un fantasma.


I suoi genitori, al tempo, la consideravano e la trattavano così. Come una disgrazia. Come un'ombra che di notte piangeva nella sua stanza. Come una di quelle leggende che non esistono e che si sente il bisogno di accatastare nel luogo più nascosto della mente.


In un giorno nuvoloso e freddo, quando aveva dieci anni, uscì per qualche ora, andando al parco della città. Si sedette sull'altalena, iniziando a focalizzarsi su un punto davanti a sé.


Fu dopo quel giorno che le diagnosticarono la malattia mentale.


Gli specialisti non capivano di cosa si trattasse, ma ogni volta che la ragazza iniziava a concentrarsi, a viaggiare con la sua mente, ecco che cominciava a raschiarsi la pelle con le unghie, con dei vetri, con qualunque oggetto le capitasse a tiro... Come se avesse il bisogno impellente di muoversi e tenere occupate le sue mani... Come se avesse un desiderio malato e involontario nel profondo del suo subconscio.


Da quel giorno, dopo che tutti i vicini la videro tagliarsi e lacerarsi le braccia nel parco, i suoi genitori iniziarono a trattarla sempre peggio. Come un mostro da nascondere. Come un segreto di famiglia. Come qualcosa che, se non fosse nato, sarebbe stato solo un bene per l'umanità.


L'ennesimo brivido percorse il collo della ragazza, facendogli contrarre i muscoli, risvegliandola dai suoi pensieri. Ed ecco che lo stava facendo, di nuovo, sull'avambraccio sinistro stavolta.


Con piccoli passi andò davanti all'armadio, aprendolo. Da esso estrasse piccoli vasetti di terracotta, in cui tanti cardi crescevano indisturbati.


I cardi, i suoi unici amici.


Gli unici fiori che, anche di notte, non si chiudevano. Gli unici fiori che, come le piaceva pensare, volessero mostrarsi a lei per come erano davvero. Gli unici che la accettavano. Gli unici fiori forti abbastanza da riuscire a sopravvivere sempre, in qualunque ambiente. Gli unici che la capivano.


La solita opprimente sensazione si insediò nella mente della ragazza, facendole roteare leggermente gli occhi all'indietro come se stesse per entrare in uno stato di profonda trance.


Improvvisamente dei passi pesanti lungo il corridoio catturarono l'attenzione di Victoria, che si voltò, vedendo sua sorella che la guardava in modo apatico, squadrandola dall'alto al basso.


<< Mmm, ti sei svegliata presto oggi... >> Constatò la ragazza, mentre faceva vagare lo sguardo tagliente nella stanza, soffermandosi sui cardi.


<< Oh... Mamma e Papà si arrabbieranno quando lo sapranno... Odiano i cardi. Odiano le erbacce inutili. >> Un ghigno percorse le labbra della sorella, mentre si appoggiava allo stipite della porta.


Lydia aveva ragione. I loro genitori detestavano le erbacce inutili.


Quelle piante che non facevano altro che rovinare i giardini. Quelle piante che per sopravvivere uccidevano ciò che avevano intorno. Quelle piante che stonavano nelle aiuole ben curate, piene di fiori variopinti. Quelle piante che erano odiate da tutti.


"Tu sei come noi"


Un sussurro pacato e sibilante entrò nella mente della ragazza, che sentì quella sensazione, di nuovo, accompagnata dai brividi lungo la schiena e dalla pelle d'oca.


<< Non racconterò a nessuno di quei... Cosi.... Ma in cambio... Dovrai inginocchiarti e baciarmi i piedi.>> Disse la sorella, mentre una risatina diabolica le usciva dalle labbra carnose.


Delle contrazioni involontarie fecero tremare il collo e le mani di Victoria, mentre gli occhi si aprivano appena.


<< Lo faccio per te... Dovresti esser felice di potermi anche solo toccare, con quelle dita maledette. Vado in sala. Appena hai deciso fammelo sapere. >> Concluse, sparendo dalla vista di Victoria ed accendendo dopo poco la televisione.


La ragazza era immobile al centro della sua stanza, mentre sentiva la cervicale vibrare in spasmi.


"Tu sei come noi... "


Lo stesso sussurro, stavolta più forte.


"Lei ci vuole uccidere..." "Vuole uccidere i tuoi amici..."


Victoria girò lentamente il viso, guardando i cardi nei vasetti...


E subito le voci si fecero sentire più forti.


"Noi possiamo uccidere" "Noi possiamo sopravvivere" "Noi ci facciamo amare da tutti, li costringiamo a farlo"


E poi una voce più forte, vibrante:


"Insegnale ad amarci!"


Victoria si portò le mani sulle orecchie, mentre gli occhi sbarrati e terrorizzati iniziavano a vagare da una parte all'altra della stanza guidati da tremolii e da un opprimente impulso.


<< Io... Io non posso... >> Sussurrò, inginocchiandosi a terra e portandosi la testa sulle gambe.


"Proteggici" "Proteggi chi ti ama e chi non ti giudica" "Costringila ad amarci" "Tutti devono amarci"


Le voci divennero più insistenti, più forti, più opprimenti. La fronte della ragazza pulsava, facendole stringere i denti per il dolore.


<< Io... Lydia ha sempre ragione. HA SEMPRE RAGIONE. HA SEMPRE RAGIONE. Siete delle erbacce inutili. >> Cercava di convincersi, iniziando a far penetrare le unghie nella carne delle guance, mentre gli occhi percorsi dal terrore e da un'insolita malsanità fissavano i cardi, immobili.


"Siete? Siamo..."


I sussurri smisero per qualche secondo, ma dopo poco ripresero, più arrabbiati, più insistenti.


"Tu sei come noi" "Tu sei come noi" "TU SEI COME NOI"


Victoria iniziò a basculare, mentre applicando maggiore forza con le mani del sangue iniziò a scivolare lungo le guance.


<< Lydia ha sempre ragione... Lydia... Lydia ha sempre ragione... >>


"Stai cercando di convincere noi o te stessa?"


Una piccola risata compiaciuta si insediò nella testa della ragazza, facendole fischiare le orecchie.


"E se fossimo noi ad avere ragione?" "E se fosse lei l'erbaccia?" "E se dovessimo essere NOI a strapparla?" "E se fossimo noi a doverla ELIMINARE?"


Victoria si fermò, improvvisamente, mentre sentiva il sapore metallico del sangue tra le labbra. Le unghie erano ancora conficcate nella pelle, gli occhi erano spalancati, con le pupille larghe, fissate sui fiori viola.


"TU SEI COME NOI" "PROTEGGICI" "NOI POSSIAMO FARLO" "NOI POSSIAMO SOPRAVVIVERE" "TU SEI COME NOI" "E SE FOSSE LEI L'ERBACCIA?"


Le voci nella testa della ragazza aumentavano ogni secondo di più, diventavano più insistenti, più forti, più malsane, più dolorose, portando lentamente ma inevitabilmente all'esaurimento la ragazza, che urlò per il dolore, mentre con le unghie aveva lacerato la pelle del suo viso fino al collo.


Ed ecco che di nuovo il silenzio regnava sovrano nella stanza, come se tutto si fosse fermato.


Magari fosse stato così.


Una risata flebile echeggiò tra le pareti della stanza. Una risata divertita. Una risata acuta. Una risata MALATA.


<<Le insegnerò ad amarci... >>


Lydia era seduta sul tavolo della cucina, mentre con il telecomando in mano cambiava svogliatamente canale alla televisione.


Di tanto in tanto sospirava o sbuffava, lanciando un'occhiata al vecchio orologio che segnava le nove di sera.


Dei passi pesanti e trascinati iniziarono a far cigolare le travi di legno del pavimento.


<< Finalmente hai deciso... >> Disse Lydia, girandosi.


E subito lasciò cadere la mascella e spalancò gli occhi mentre osservava Victoria:

Gli occhi erano sbarrati, animati da divertimento, odio. Le guance completamente ricoperte di sangue, così come le braccia e le gambe. Il volto animato da una malsana curiosità. La sua coscienza, la sua sanità e la sua ragione erano ormai scomparse.

Ma ciò che fece venire la pelle d'oca a Lydia...


Dei pezzi di metallo e di vetro triangolari erano inseriti nella carne delle braccia della ragazza, come a formare delle spine.


Victoria era immobile, mentre dei brividi e degli spasmi le facevano scattare il collo da una parte all'altra.


Portava lentamente un piede davanti all'altro, mentre alzando le braccia e allungandole davanti a se faceva luccicare i metalli impiantati in esse.


Con uno scatto improvviso si lanciò verso la sorella, atterrandola a terra con violenza.


Lydia si dimenava, lottava con tutta se stessa... Ma più lo faceva e più si feriva a causa di quelle spine ferrose.


Il sangue iniziò ad uscire dalle braccia, dal petto, dall'addome, mentre un ghigno si dipingeva sul volto di Victoria.


E poi la ragazza lo fece: abbracciò sua sorella.


<< Amaci.... >>


Il sangue caldo che imbrattava il pavimento, i muri, il tavolo. Il corpo di Lydia steso sul pavimento, con braccia e gambe aperte. Gli occhi bianchi, girati all'indietro. I tagli sulla gola, sulle braccia, sulle gambe e sopratutto... Il petto squarciato a metà, aperto. Le costole rotte abbandonate sul pavimento assieme a qualche organo ormai non più riconoscibile.


E poi... Forse l'elemento più raccapricciante:


Il cuore della ragazza posto sul suo addome, avvolto da una spira di cardi che lo laceravano in vari punti a causa delle spine acuminate.


Questo era lo spettacolo che si presentò agli occhi dei genitori, quando tornarono a casa.


Di Victoria non vi era più traccia.


Un'unica frase scritta col sangue si ripeteva sulle pagine del quaderno della vittima e sulla sua fronte:

"She loves us"


Questa è la storia di Victoria Kramer, conosciuta come Lady Thistle. >>


<< E poi?!?! Che ne è stato di Lady Thistle?! >> Esclamò un bambino che stava ascoltando la storia di Rick con la bocca spalancata e gli occhi sbarrati per il terrore, così come gli altri che stavano attorno al fuoco.


<< Da quel giorno.... >> Ricominciò il narratore, con aria lugubre.


<< Lady Thistle continua ad uccidere chiunque ammette di odiare i cardi. Come ha detto lei, devono amarli tutti quanti. Sembra quasi che più persone uccide, più amore riceve... E più riesce a diventare forte, potente... >> Concluse, con un ghigno soddisfatto.


<< Io... Io ho paura... >> Dissero uno dopo l'altro gli scout, cercando di riscaldare le mani mettendole accanto al fuoco.


<< Io no... Sono solo delle stupide leggende... >> Affermò Rick pavoneggiandosi.


<< Certo... Sono sicura che non riusciresti mai ad ammettere che odi i cardi... >> Lo sfidò una ragazza con aria scettica, alzandosi in piedi.


Rick rimase un po' turbato da quell'affermazione, che gli fece corrugare la fronte.


<< Io odio i cardi. Li odio. Li odio. >> Disse secco, cedendo alla provocazione dopo qualche secondo.


Il resto della serata passò in fretta e presto ogni scout si stava dirigendo nella sua tenda. Quella di Rick era più lontana rispetto alle altre, quindi doveva fare un pezzo di strada in più. Di notte. Al buio. Da solo.


Gli unici elementi a fargli compagnia, se così si poteva definire, erano i rumori del vento, dei rami pestati e dei gufi che osservavano il gracile ragazzo procedere con decisione per il sentiero.


Rick camminava silenziosamente, quando dei fruscii dietro di lui gli fecero venire la pelle d'oca, facendolo deglutire e fermare per qualche secondo.


"Non esiste, non esiste... " Si ripeteva, mentre la luna pallida creava strane figure sui tronchi degli alberi. Mentre sentiva il cuore battere più forte. Mentre sentiva un'opprimente sensazione, come se qualcuno lo stesse fissando. Mentre sentiva la paura crescere in modo esponenziale nella sua mente.


<< Io amo i cardi.... Io amo i cardi.... >> Iniziava a sussurrare, camminando con le gambe tremanti, come se finalmente avesse ammesso a se stesso l'esistenza di quella persona che lo stava seguendo, silenziosamente. Come se avesse capito che là, oltre a lui, vi era qualcuno che lo scrutava con uno strano ghigno divertito sul volto. Come se avesse capito il suo precedente errore. Come se volesse rimediare ad esso ad ogni costo, persino mentendo a se stesso.


Un fruscio più forte e poi il rumore di passi. Passi lenti. Passi pesanti. Passi che fecero perdere un battito al ragazzo.


Un'ultima frase venne detta quella sera. Un'ultima frase venne detta prima che il ragazzo fu strozzato con una corda fatta di cardi intrecciati. Un'ultima frase venne detta prima che la gola del ragazzo venisse recisa con diverse lame assieme alle gambe, alle braccia, all'addome. Un'ultima frase venne detta prima che il cuore fu strappato dal petto, torturato ed inserito poi in una corona di cardi. Un'ultima frase venne detta prima che la fronte del ragazzo venisse abbellita con le parole: "He loves us".


E la frase, accompagnata da una risata malsana, era:


"Stai cercando di convincere noi o te stesso?"

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