Racconto di John밀양
Sogni! Sogni! Sogni colore dell’oro: infiniti e colore dell’oro come le dolci praterie che si stendono di là dal Rio Sacramento, acqua d’oro di cui fu intessuta la pioggia che cadde sopra Danae; praterie simili a compiute eternità: giunchiglie calpestate; e i miei sogni come mandrie di bisonti che pascolano all’orizzonte, e pascolano intorno al mondo; e io con la mia lancia in mezzo a loro per trafiggerne almeno uno, prima che fuggano tutti.
● HERMANN MELVILLE, Mardi
« Se non fosse per i tenui raggi del sole di questo pomeriggio dorato che ti accarezzano il viso; per la tua morbida ombra che proiettandosi sull’acciottolato attesta concretamente la tua presenza, qualsiasi tentativo di persuadermi del tuo ritorno sarebbe vano. Come fossero ricordi da un passato remoto; tutt’ora rivivo nella mia mente quell’oscuro mattino in cui, per disperazione, ostinai con l’ennesimo messaggio. Perché come il dissolversi degli ultimi raggi di sole nella notte che incombe, ogni speranza sembrava tramontata oltre l’orizzonte della mia vita. Giacevo nel silenzio di un buio urlante come uno spettro informe e quando lo schermo si illuminò mostrando il miracolo di un tuo messaggio di risposta, fu come l’infrangersi di un’eterna notte. Tanta era la desolazione in cui l’agonia della tua assenza mi aveva sprofondato, che la mia coscienza incredula esitava ad accettare l’avverarsi di una simile gioia; e quasi la rigettava come fosse nient’altro che un sogno evanescente dispensatore di illusioni. E come darle torto? Sembrava ai limiti del vero, non poteva esserlo. Non dopo tutto quello che è successo, non dopo tutto quello che è stato detto. Dopo tutto quello che ho fatto. La decisione di affrancarmi da questa vita per cui ormai provavo solo nausea era inamovibile; eppure, sei di nuovo qui con me. A passeggiare al parco proprio come un tempo, prima che le cose si incrinassero.»
« E com’è grande, incontenibile la mia gioia! E sembra come se ogni creatura, ogni fiore, ogni atomo dell’universo stesse esultando insieme a noi. Guarda, come danzano sinuose le foglie dei salici alla musica del vento; e ascolta, come cantano i merli e gli usignoli! Le nuvole si allargano nell’azzurro del cielo giocando come scoiattoli, il sole ridente illumina il mare di foglie dei salici e dell’erba, mentre le api e le farfalle danzano festose tra i giardini fioriti. E cullato in quest’abbraccio di colori rifrangenti, quei lunghi mesi bui della tua assenza sembrano offuscarsi, dissolversi, come un incubo da cui ci siamo destati. Eppure, ora che la tua luce gentile è tornata a splendere su di me, e che con le tue tenere ali posso tornare a librarmi alto nel cielo armonioso, rivolgendo per un attimo il mio sguardo al triste passato realizzo che, anche se allora mi sentivo annegare nel fango del nulla, in verità i tetri abissi in cui sprofondavo non erano ancora il fondo di quel pozzo informe. Perché persino tra tutto quel grigio, tra quella polvere e quel sozzume, alcuni sottili raggi lenitivi riuscivano a fendere le dense nubi di apatia. Il destino ci aveva separati, ma in fondo al cuore mi rasserenava il vederti tornare a sorridere. Vederti di nuovo felice, uscire, ridere e divertirti. L’accuratezza e la meticolosità di come ti truccavi; le interminabili riflessioni e confronti davanti al tuo specchio per scegliere che vestito e che scarpe mettere, che rossetto usare. Poco importava se eri di nuovo con quelle stupide, o se eri con lui: ero felice di vederti felice, anche se senza di me. E ho sofferto molto, quando non mi è stato più permesso di farlo. Ma ormai nulla importa: tutto è finito.»
« Adesso, siamo di nuovo insieme. E tanto è confortevole la serenità del tempo trascorso al tuo fianco, tempo che scorre nell’aria come la melodia acquarellata di un coro di Dèi, che i nostri passi leggeri ci hanno già condotti alla nostra meta. Eccoci dove l’allegra caffetteria dispone i suoi tavoli sull’acciottolato in mezzo al quale si dipinge il verde dell’erba, e dove la sua accogliente insegna invoglia i passanti a godersi questi pomeriggi d’estate accompagnandoli con i loro dolci prodotti. È qui che siamo venuti il giorno del nostro primo appuntamento, ricordi? È davvero carino: i tavoli colorati, le piantine fiorite e i due grandi teloni che ricordano le vele di un galeone incantato pronto a salpare verso lande lontane. Terre fatate, che sorgono laddove i confini tra il mare e il cielo si fondono, e dove città favolose squarciano le bianche nuvole innalzando torri di marmo che sbocciano come fiori. Sediamoci, e ordiniamo qualcosa, lasciandoci trasportare da questi sogni traboccanti di poesia. Oggi, come allora. Ecco, arriva la ragazza a prendere le ordinazioni. Guardala, bella e sorridente, volteggiare come una rondine fino al nostro tavolo a regalarci il suo sorriso. Quel giorno prendemmo tu un cappuccino e io un espresso, ricordi? Io si, ricordo tutto alla perfezione. E come dimenticare? Non vi è tesoro il cui valore possa paragonarsi al ricordo di ogni attimo vissuto al tuo fianco, e non vi è giorno della mia vita che io non consacri nell’atto di rievocare nella mia mente quegli inestimabili ricordi.»
« Si, un cappuccino e un espresso. Oggi come allora, e come il mio cuore aveva già predetto. Perché si, sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, che ci saremmo ritrovati. Il destino, o quell’eterea e radiosa energia che pervade ogni angolo dell’universo, mi aveva mandato in forma di sogno la lieta novella che le nostre strade si sarebbero riunite. E come poteva essere altrimenti? Possono mai essere separate, due anime legate dal filo rosso del destino? Questo, fu ciò che vidi in sogno: un filo rosso che legava il mio cuore al tuo, per l’eternità. E anche in quel sogno, camminavamo tra i fiori e i prati verdi di questo parco, dove libellule sfrecciano nel vento come stelle cadenti e il tempo non esiste, e nulla turbava le nostre menti. Vi era solo una soffice, morbida tenerezza ad accarezzarci come la mano di una giovane madre. Non c’erano il lavoro, le tasse, gli straordinari, i soldi, l’affitto, il mutuo, l’ansia, lo stress. Io non ti ferivo, e tu non mi sminuivi. Io non mi sentivo un verme e non dovevo giustificare i miei fallimenti, né tu mi rinfacciavi niente. Eravamo soltanto noi, io e tu, avvolti nell’abbraccio del cielo e del canto degli uccellini. Ed è così, che dovrebbe essere. Liberi, senza un mondo che schiaccia i cuori e avvelena le anime.»
« Anche se solo in sogno, è stato bello rivederti. Mi mancavi così tanto. Mi sentivo così solo. Così spaventato. E dubitavo. Dubitavo di me, dubitavo dei miei sentimenti e dell’autenticità del dolore che mi arroventava il petto. Mi chiedevo se era davvero te che amavo, o se l’oggetto della mia venerazione era in effetti un’immagine illusoria che ti avevo proiettato addosso. Così come ho creato un’immagine illusoria di me da proiettare all’esterno, ingigantendo le mie presunte qualità, come un ottuso pavone che spalanca la coda. E con quanta ammirazione che mi guardavi! Era soltanto questo, ciò che stavo cercando? Qualcuno che mi ascoltasse, che mi apprezzasse, che mi ammirasse, per anestetizzare quel senso di insignificanza che mi corrodeva da dentro? Eppure, per quanto io senta la vergogna affiorare come uno scoglio nero nel reflusso della presunzione, mi accorgo che anche tu facesti lo stesso. Ricordi, quei due film d’autore di cui mi parlasti una sera? Uno era… L’Avventura, di Michelangelo Antonioni, forse? Dell’altro non ricordo il titolo, forse un altro vecchio classico del neorealismo italiano. Quanto è ricercata, pensai, e quanto sono raffinati i suoi gusti! Fu allora, lo ammetto, che credetti di aver trovato quella giusta. Un’autentica intenditrice! Ma oggi lo so, sai? Era evidente, trapelava da molti dettagli. Solo uno stupido avrebbe potuto non capirlo: te ne aveva parlato un altro, vero? Qualcun’altro con cui eri uscita, prima di conoscermi. Qualcuno che aveva nominato quei titoli per cercare di affascinarti, e tu li hai riutilizzati su di me. Si, è così. Ma non temere, non c’è nulla di male. Anche tu, in fondo, desideravi essere apprezzata, ascoltata, ammirata, per fuggire da te stessa. Penso sempre agli errori che hai fatto, errori che hanno provocato i miei, ma anche io ho sbagliato fin dal principio: non avrei dovuto circoscrivere la mia approvazione soltanto ai libri che fingevi di aver letto, o ai pensieri di plastica letti chissà dove che ripetevi spacciandoli per tuoi. Cercavi di mostrarti alla mia altezza, ma quella presunta altezza era fittizia, perché anche io mi stavo solo gonfiando.»
« Quanto siamo miseri, noi umani! Inganniamo noi stessi e gli altri per sfuggire al folle setaccio di elitismo che noi stessi ci siamo imposti e con cui abbiamo distorto e riplasmato ogni emozione e forma d’affetto fino a trasformare l’amore in una moneta di scambio, da spendere con avidità, e solo per il meglio del meglio. Ma chi, potrebbe mai superare una simile selezione? Lo so, nessuno di noi ne ha la colpa, eppure siamo tutti colpevoli. Che male c’è, se qualche esame era andato male? E che importa, se la laurea sarebbe arrivata un paio d’anni più tardi? Avrei dovuto amarti per ciò che eri, e non per quello che io pretendevo che tu fossi. E quanto mi vergogno, del modo in cui ti prendevo in giro! Per i tuoi capelli, e perché hai poco seno, e perché non sei alta. Cosa volevo dimostrare? Che non sei tanto bella? Che ti stavo facendo un favore, io, a stare con te? Che dovevi ringraziarmi? Che idiozia! Mi sento così in colpa. Sei bella. Sei tanto, tanto bella. Sono io, che sono brutto. Sono brutto, perché mi credo brutto. Sono brutto, perché ho cucito addosso a te una figura idealizzata che tu non eri, e che invano ti sei sforzata di assecondare; una bellezza illusoria creata per accontentare me, che nascondeva e oscurava la tua. Radiosa, la tua. Sono brutto, perché ero incapace di accettarti. Anzi, di accettarmi; di accettare le cose per come stanno. È per questo, penso, che mi hai lasciato. Ma sono così felice, adesso che ho imparato ad amarti! Ora so che non può esserci amore, laddove non si è capaci di amare anche l’imperfezione e il difetto. Ed è così bello, adesso che ho capito tutto! Ma è così strano, che le cose le si capiscono sempre quando è già troppo tardi: la gioia scorre come un fiume mentre gli ultimi granelli della mia clessidra cadono come stelle.»
« Eppure, adesso che sei di nuovo qui con me sento che nulla più ha importanza. Sì, sì, lo so: sono solo immagini. Fiumi di colori sgargianti che si dipingono in un turbine di linee arabescate che prendono la forma dei desideri nascosti. Il dono di una magnifica, gioiosa illusione che riempie lo spazio vuoto di una mente annichilita dal dolore per sanarla, guarirla. Guarirla da un dolore che i torrenti sinuosi del tempo stanno già accompagnando gentili alla sua dissoluzione, poiché tutto ormai si predispone alla fine e l’inesorabile meta a cui ogni cosa è destinata sta per essere raggiunta. Ma laddove vi è una fine vi è anche un nuovo inizio, così come ogni tramonto promette una nuova alba. E se la vera natura della vita consiste in un’eterna rinascita, è così assurdo indovinare che forse un giorno anche la morte possa morire? E allora, forse, non è ancora troppo tardi. Forse, le nostre preghiere affinché questo dolore abbia fine saranno esaudite, e la speranza che i nostri cuori possano riunirsi non è vana. Ecco, questo è il desiderio che io lancio! E lo esprimo qui, adesso, al cospetto dell’abisso eterno: che anche la fine possa -un giorno- avere una fine. E chissà, forse ritrovarsi non sarà poi così difficile. Ma fino ad allora, tratteniamo i tumulti iridescenti dei nostri cuori, affinché essi non siano infangati nella pioggia nera di questo mondo spettrale. Affinché non vengano dispersi dalla baraonda di risa putrescenti, tra le cadaveriche orde irridenti di burattini nel cui petto vuoto soffia un vento di morte. Lo stesso vuoto in cui quest’ultimo sprazzo di colori sta per svanire.»
« Ma prima che la mia debole coscienza svanisca con esso ho un ultima, pietosa richiesta da farti. Va dalla vera te, dispersa laddove regnano infami spettri dagli occhi ciechi che vedono solo dentro se stessi. Scovala, frastornata tra le grida e le urla delle orde ridenti che sciamano turbinanti, soffocata tra le labirintiche vie che si diramano come ragnatele tra alte torri di cemento che straziano il cielo. Trovala e te ne prego, ti supplico, dalle questo messaggio: sei bellissima. Sorridi. Sii ostinata, sii sempre te stessa senza compromessi, anche a costo di metterti il mondo contro. Perché il mondo è vuoto e scialbo e non vale quanto te. Sii gioiosa, non attaccarti alle cose, non temere la solitudine e lascia che la vita scorra attraverso di te come un arcobaleno rifrangente che si apre nel cielo infinito. E nient’altro, perché nulla, in verità, ha importanza. All’infuori dell’azzurro sconfinato del cielo, del tepore gentile dei raggi di sole, del verde smeraldino nelle foglie sinuose dei salici. Ma impietosa è La Fine, e non indugia al cospetto di emozioni che nella Sua immensità, Essa ignora: è tempo di salutarsi, in un arrivederci mascherato a falso lutto come un lugubre addio. E adesso che tutto questo mi è chiaro, dimentico delle false pene di cui un tempo disperavo, realizzo in fine che sono lieto di aver ricevuto in prestito questa breve vita. Perché è stato così, anche se soltanto tra le malfatte scenografie di una scialba commedia in un teatrino cadente, che ho avuto in dono il miracolo di conoscerti. Ma adesso basta, voglio soltanto godermi questi miei ultimi attimi qui con te, e nient’altro. Così, in silenzio. A guardarti, sognando il giorno lontano in cui, mano nella mano, inizieremo un nuovo meraviglioso viaggio insieme.»