Creepypasta Italia Wiki
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Tu vuoi che io racconti, ma mi è veramente difficile riuscire a parlare dell'amore senza copiare gli altri o sembrare stupido. Ci sono troppe storie sugli amori più assurdi. Alcune hanno anche finali raccapriccianti... Ma non invidio più quelle storie, quando le sento. La prima volta che vi ho visti assieme stavate dietro la scuola. Tu eri sdraiata sopra di lui. Non facevi altro che fissarlo. Ma lui girava la testa, guardando da altre parti.

È più grande di me, non ha più la madre... ed è ricco. A me non è mai mancato nulla. Anche noi abbiamo i soldi. Solo non così tanti. Non quanti ne ha lui.  

Tu mi sei sempre piaciuta.  

Se c'è il sole, sollevi il viso per riscaldarti, chiudendo gli occhi... Sei bellissima quando lo fai... Così bella che ti imito.  Una volta... una volta, ti ho vista in biblioteca, nascosta in un angolino, con il golfino mezzo alzato. Ti stavi sistemando il reggiseno. Non ti sei accorta di me. Ero in piedi, con un paio di libri tra le braccia, alla fine del corridoio... Non volevo spiarti, ma passavo di lì... e... e in ogni caso... tu non hai fatto caso a me.    So anche che fumi. Lo fai guardando sempre verso il basso. Chissà, magari pensi a lui... anche se non sorridi mai.  

Lui con i suoi amici ti aveva chiamata "paesanotta di sto cazzo".  Ti ricordi quando sono andato a riferirtelo? «Sì?!?», hai risposto ridendo. Come se fosse una battuta. Mi hai anche offerto una sigaretta. Non sai che siamo troppo piccoli per fumare? Non sai che dentro i nostri corpi ci sono ancora dei bambini? Dei bambini a cui le mamme, ci scommetto, ancora asciugano per bene i capelli puliti dopo il bagno. Bambini trattati come bambolotti dentro belle scatole.  Non so perchè me l'hai voluta offrire. Penso che te l'abbia fatto fare la tua educazione, le tue buone abitudini verso gli altri. Ho detto di no, ma ti sono rimasto accanto. Ti fissavo e provavo un sentimento... Era amore. Ma tu hai smesso di percepirmi. Non mi hai più guardato. Come se vicino a te non ci fosse nessuno. Sono un fantasma, per te?  

Ho i soldi perchè entrambi i miei genitori hanno sempre lavorato. Per questo, a volte, rimango solo nella nuova casa.   Ci siamo trasferiti qui da poco, dopo la morte della nonna. Loro lavorano anche di notte.  Quando succedeva, nell'altra casa, mangiavo quello che mi avevano cucinato prima di uscire, poi accendevo la tv in salotto o mi chiudevo in camera mia, incrociando le gambe sul letto e aprendo un libro. Mi piace leggere. Un giorno, scriverò anche io qualcosa. Qualcosa che non è mai stato scritto.  

Ma da quando mi sono trasferito qui, di notte, non mi viene in mente nulla. E invece di guardare la tv o leggere, passo le ore a osservare la tappezzeria della mia stanza.  

Era già qui quando siamo venuti a viverci. È vecchia. Papà dice Anni Settanta. Non ha ancora trovato il tempo di toglierla. Ci sono dei fiori tropicali rossi e blu... e foglie, tante foglie verdi, rotonde e grandi su uno sfondo nero.   Non so cosa mi spinge a guardarla tanto e fino a notte fonda. È  come se avessi delle mani appiccicose... no, meglio ancora, DEI TENTACOLI che mi bloccano la testa. 

Non c'è nulla di spettrale nella carta da parati. Nulla che al buio possa creare un'atmosfera macabra. A meno che la giungla non sia il tuo peggiore incubo. 

Eppure c'è stata una notte, in cui mi è sembrato quasi di sentire il rumore del vento che soffiava lì dentro. Forse, era solo una strana eco nella mia casa. E lì, dove in principio c'era lo sfondo nero, fra i fiori e le foglie, improvvisamente ho intravisto la sabbia, il mare e delle onde fredde... e anche la terra, il cielo e l'erba. Un suolo enorme, come un altro mondo, oltre quella rete di germogli verdi e selvaggi, aspri e forti fiori...    

Io non so dire bene se l'ho vista realmente o meno. Ero pieno di sonno a quel punto della notte.   Stavo sdraiato sul letto, muovendo la luce della mia lampada sulla tappezzeria come fosse una grande torcia.   Ho chiuso le palpebre per un attimo e, quando le ho rialzate, l'ho vista. Proprio lì, su un punto che avevo illuminato quasi di sfuggita, dietro un groviglio di foglie, impaludata fino alle ginocchia nello sfondo nero che ora sembrava del melmoso petrolio. 

Era una figura con il viso nascosto sotto un lungo mantello, ma che le lasciava scoperte le braccia. Braccia cariche di fame e magrezza. Braccia che bramavano doni generosi. Braccia con mosche che camminano sulla pelle. Braccia alle quali si doveva obbedienza.  È durato un attimo. Poi è scomparsa. Ma in quell'attimo io ho indietreggiato terrorizzato, credendo di poter fare una fine terribile.   Dopo ho riso di quel povero idiota che ero. Ridevo e ridevo.  

Ma il ricordo faceva tornare la paura dentro gli occhi, quando nelle notti seguenti, mi è sembrato di vederla ancora e ancora e ancora sulla tappezzeria. Sempre in punti diversi della parete. Vicina o lontana. Sempre per un granello di secondo. Lugubre e tormentata come i folli assassini di Poe. Di quelli intenti a spiare le tetre e infelici solitudini delle loro future vittime.   Le ho dato il nome di Strega.  

Ho sognato qualcosa... Cioè, ho continuato a sognare qualcosa... per molto tempo. È molto difficile da spiegare. È cominciato col fatto che, insomma, sognavo ci fosse un altro gatto in casa, oltre alla nostra Angelique. Fu la nonna a darle quel nome. Si chiama così perchè ha il pelo talmente bianco da sembrare luminosa come un angelo. Lo stesso pelo che aveva sua madre, Miss Bennett, la gatta della nonna che però era morta.  Ma la gatta che veniva a trovarla arrivava solo di notte e solo quando Angelique entrava nella mia stanza e non rimaneva a dormire in cucina, che è il suo posto preferito.  

Nel mio sogno, capitava che le vedessi tutte e due. Una di fronte all'altra, ma a distanza. Angelique, che rimaneva sempre più vicina al mio letto, l'altra che faceva avanti e indietro lungo la tappezzeria. Si studiavano per ore. Due macchie bianche che si miagolavano a vicenda nell'oscurità.  E allora, è cominciato così, che un bel giorno, quando mi sono svegliato, Angelique non c'era più.   

Poi non ho più visto neanche la Strega. Non c'erano più tracce di lei. Di notte e di giorno. Ho guardato e riguardato ovunque, anche stando più vicino alla tappezzeria. Nulla. Un vuoto enorme.   Non so cosa sia successo. Me lo sono anche chiesto, ma l'unica risposta è stata che mi fossi immaginato tutto.  Ho ricominciato a dormire, a leggere, a guardare la tv... a pensarti...  Almeno fino a quando non è successa la cosa più sanguinaria che la mente umana avesse potuto concepire.   Stavo passando un'altra notte da solo. Ero sul letto con una tazza di latte caldo in mano e l'ho vista davanti a me, sulla tappezzeria. In piedi, davanti a petali blu e rossi aperti a un sole che non c'era.  Lo strazio che ho provato nel vederla lì dentro... Ha anche allungato il braccio verso di me, quasi per toccarmi. Mi voleva abbracciare? Mi voleva stringere, come faceva quando ero piccolo? Mi sembrava di sentire il suo odore nell'aria.   Ho lasciato cadere il latte caldo sulle mie gambe. Ho lasciato che bagnasse le lenzuola.  La mia povera nonna era sulla tappezzeria...    

Quando mi sono accorto di quello che stava succedendo, ero felice. Ogni solitudine, ogni mancanza, ogni amore, sarebbero stati colmati grazie a ciò che mi aspettava al di là della parete.   Non ho più passato notti con tanta pena per me stesso.  Ho messo via il broncio...   Quella tappezzeria mi voleva restituire la possibilità di essere amato, di non essere più invisibile finalmente... Visto anche da te... Soprattutto da te. Perché ti amo.   

Per questo, ho sussurrato all'orecchio di lui di venire a casa mia di notte, quando ero solo. Per questo, gli ho parlato di sigarette e birra. Per questo, l'ho chiuso dentro la mia camera e non sono entrato nemmeno quando l'ho sentito mormorare «Mamma»... e ho lasciato le sue urla alle mie spalle, ben sapendo che quando sarei rientrato, non lo avrei più trovato...  D'ora in poi non farò più da tappezzeria.


Da una storia di Fabio Secchi Frau.

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