Katy prese in mano l’oggetto che giaceva in mezzo al pavimento. Aveva cinque punte annerite, attaccate a una parte centrale leggermente più chiara.
Ne aveva già avuti, di giochi simili: tutti sempre molto strani.
Lo lasciò cadere. Fece un rumore simile a una bambola di pezza, ma più molliccio, mentre inumidiva il pavimento con il suo viscidume.
I suoi genitori le portavano qualcosa di simile ogni settimana. Lei, però, aveva cominciato a nascondere tutto quel ben di Dio: non le piaceva minimamente che qualcuno vedesse i suoi particolari cimeli. E non piaceva neppure alla mamma.
“Tesoro! Vieni a fare colazione!”.
La bambina scese rapidamente le scale – attenta a non cadere –, ma prima di recarsi in soggiorno, andò a lavarsi le mani.
“Katy, hai preso le medicine?”.
Suo padre la guardava dalla porta del giardino, vicino al corridoio.
“No, papà”, rispose lei.
Certamente, l’avrebbe fatto dopo.
Quel pomeriggio, Tommy passò. Portò ai genitori della piccola un altro bizzarro souvenir.
Loro, dopo averlo ispezionato accuratamente, glielo diedero in regalo.
Vedendolo, però, Katy si rese conto per la prima volta che quello strano gingillo, per quanto fosse abituata alla forma, poteva non essere sempre stato un balocco.
Poteva essere appartenuto a qualcuno.
Poteva essere stato attaccato al corpo di una persona.