Creepypasta Italia Wiki
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Vi è mai accaduto un evento suggestionante che ha coinvolto qualcuno nella vostra casa, ed avete solo pensato “non voglio saperlo”? Qualche volta la paura dello sconosciuto sembra un’opzione preferibile all’affrontare un concreto e vero pericolo. Normalmente non è nulla, tuttavia. Una volta avrei giurato che avessero rubato dei soldi dalla mia scrivania, ma sono probabilmente solo scherzi della memoria. Ma che cosa fareste se qualcosa di veramente turbante accadesse? Correreste via? O lo ignorereste, come ho fatto io?

Lunedì scorso era un giorno normale. Mi sono alzato, mi sono lavato i denti, mi sono messo l’uniforme della scuola… Tutte parti della mia routine mattutina. Sembrava dovesse essere un altro giorno privo di importanza come tutti gli altri, quando vidi le stringhe. C’erano tre o quattro stringhe di spago larghe nella mia camera. Esse si incrociavano in mezzo ai muri attorno al mio letto, una appesa alla mia porta. Non c’era modo che non le avessi viste prima, le avrei dovute notare. Erano legate a dei perni ai muri, i quali fino a dieci secondi prima non c’erano. Nessuno sarebbe potuto entrare nella mia stanza mentre io vi ero dentro, nonostante tutto era presto, ed il mio cervello non lavorava correttamente. Ho semplicemente slegato le stringhe e sono andato a scuola, lasciandole appallottolate sulla mia scrivania.

La situazione non migliorò dopo. Fuori da casa mia ce ne erano a centinaia, legate attorno alle case, alle macchine e attraverso le strade. Doveva essere uno di quegli scherzi super-elaborati, uno di quegli show con telecamere nascoste. Avevano anche fatto stare al gioco tutti gli altri, i passanti erano aggrovigliati agli oggetti verso i quali camminavano, come se seguissero un tracciato. Ho nervosamente continuato il mio viaggio verso la scuola. Sul bus tutti, eccetto me, erano legati alla porta. A scuola, i gruppi di amici erano legati tra loro; i professori erano legati alle loro cattedre ed alle lavagne. Abbastanza strano, a questo punto tutto ciò che potevo chiedermi era perché fossi stato lasciato fuori.

Quando la mia amica Lucy si sedette di fianco a me durante la prima lezione, appoggiò semplicemente la borsa per terra e, poggiandosi il mento in mano, guardò semplicemente fuori dalla finestra, dritto attraverso di me. “Hey Lucy.” Nessuna risposta “Avanti, non mi aspettavo che ci fossi dentro anche tu.” Si chinò e cominciò a prendere libri dalla sua borsa. Tutti i libri erano legati alle sue mani attraverso delle stringhe. Sorrisi e staccai una delle stringhe da un tomo. Non sembrò accorgersene, invece lasciò cadere il libro senza la minima esitazione, ignorandolo completamente. “Uhm...” Mi chinai, raccogliendolp e rimettendolo sul banco, ma sembrò non accorgersene. “Beh, se la mettiamo così…” Sorrisi, strappando tutte le cordicelle con una mano, per poi buttarle via con l’altra. Stabuzzò gli occhi e cominciò a fissarmi. “Diavolo, Martin, sei un ninja, o una roba del genere?” “Sono stato seduto qua per qualcosa come dieci minuti.” Sorrisi di nuovo, notando che lei mi aveva finalmente notato “Da dove arrivano tutte queste stringhe?” Deglutì, sembrando notarle per la prima volta. “Pensavo mi steste tutti prendendo per il culo…” Si alzò, arretrando fino ad un angolo, nessuno nella classe lo notò. “Non erano qui giusto un minuto fa! Le vedi anche tu?” Il suo tono di voce alterato dimostrava che era realmente spaventata. “Sì ma tu-.” Fui interrotto dalla mia professoressa, che sbattè la porta dietro di se. Tutti tranne me e Lucy cominciarono a farfugliare un buongiorno, e nessuno, ancora, sembrò notarci. “Le persone mi hanno ignorato per tutta la mattina.” Dissi a Lucy prima di urlare all’ insegnante: ”Ehy, cretina, non saresti in grado di insegnare ai porci.” Nessuna reazione. “Me ne vado da questo schifo.” Lucy spinse via alcune stringhe ed uscì, io la seguii e… Guardacaso, nessuno se ne accorse. Vagammo per i corridoi, entrando ed uscendo dalle classi. Ogni tanto slegando qualche libro o una cattedra, una volta scollegati sembrava che nessuno ne considerasse più l’esistenza.

Le mostrai le strade all’esterno; c’erano molte più stringhe di quando ero uscito. Almeno il doppio. Ci introducemmo prudentemente tra i grovigli di corde, facendoci strada verso un bar vicino. Nulla di particolare, certo, ma voi cosa avreste fatto nella nostra situazione? Come dicevo prima la paura dello sconosciuto, alcune volte, sembra l’opzione più sicura. Certe volte suggerii di slegare alcune persone. Ma Lucy si oppose, ricordandomi di quanto terrorizzata si fosse sentita. Nel bar prendemmo due sandwich e delle bevande dal frigo. Trovammo un tavolo, slegammo tutte le stringhe attaccate alle sedie e ci sedemmo. Mangiammo entrambi in silenzio, entrambi spaventati, entrambi tentando di svagarci guardando le altre persone nel negozio, ovviamente avvolte dalle stringhe.

Dopo venti minuti Lucy parlò. "Ora lei prenderà quel tramezzino", indicando una donna.

Infatti si diresse verso il frigo e prese il tramezzino avvolto nella plastica alla quale ella era legata. "Pagherà per quello e se ne andrà". La donna fece così, come indicato dalle stringhe. "Quel ragazzo non ha intenzione di pagare". Guardai un uomo prendere il suo caffè e correre fuori dal negozio. I due camerieri sembravano troppo esasperati per inseguirlo.

"E' orribile" gemette lei. "Andiamocene, per favore."

Fuori non è che la situazione fosse molto migliore. Tutti seguivano le istruzioni delle stringhe, vivendo la loro vita quotidiana. Lucy disse che sarebbe andata a casa a dormire, e io la accompagnai. Viveva solo a dieci minuti da lì. Una volta che ci fummo allontanati dalla parte più movimentata della città vedemmo che vi erano meno stringhe. Era più rassicurante, potevamo tentare di immaginare che non fosse successo nulla.

Quando girammo per la strada della casa di Lucy, lei si fermò, la sua bocca si aprì di scatto. "Che c'è, ora?" Ruppi il silenzio, la mia voce suonò sorprendentemente acuta.

"Guarda".

Indicò verso il giardino di uno dei suoi vicini. Lo vidi chiaramente, e non potrei scordarmelo fino alla mia morte. Un piccolo, scuro folletto, forse alto tre piedi, che camminava con le nocche poggiate sul suolo, più o meno come una scimmia. Aveva due grandi occhi gialli che occupavano circa metà della sua faccia e nessuna bocca o altre caratteristiche facciali. Aveva in mano un martello e un gomitolo, che stava srotolando dietro di se. Camminava velocemente e silenziosamente dalla porta d'ingresso alla cassetta della posta. Si fermò, martellò un chiodo in un lato della cassetta e avvolse una stringa attorno. Si girò verso di noi e si fermò quando ci notò. Cercai di nascondermi, ma il folletto rimase a fissarci, con uno sguardo sorpreso e incuriosito. Si potrebbe quasi dire spaventato. Improvvisamente ci invitò ad andare verso di lui con un gesto della sua piccola mano. Guardai Lucy, non si era mossa. Ritornai a guardare il folletto, che mi fissava. Mi avvicinai, sempre di più. Questa non era più paura dell'ignoto; era paura di quel piccoletto. E non sembrava affatto qualcosa di cui aver paura. Quando fui a un metro dal folletto, tese la sua mano.

"Uh.. ciao", dissi.

Egli annuì in segno d'approvazione, sbattendo le palpebre dei suoi enormi occhi gialli, fissandomi.

"Quindi tu sei l'addetto all'intreccio delle stringhe?"

Annuì con entusiasmo. Chiamai Lucy da lontano, ma lei rimase dov'era.

"Ci sono altri come te?"

Un altro cenno. Avrei voluto chiedergli molte altre cose, in riguardo a quello che era successo e a quello che sarebbe successo, ma sembrava che per ora fossi rimasto bloccato a chiedere cose alle quali si poteva rispondere solo con Sì o No.

"Non abbiamo neanche un libero arbitrio?"

Rimase a guardarmi, intristendosi. Immediatamente sentii una morsa allo stomaco e non riuscii più a sopportare la vista del folletto. Afferrai Lucy, che aveva ascoltato il nostro scambio, e che era ora seduta sul marciapiede con la testa tra le mani.

"Andiamo"

Entrammo in casa sua, e preparai per lei una tazza di tè. Quando la trovai in salotto, lei aveva sciolto il suo cane dalle stringhe e gli si era seduta accanto, piangendo. Poggiai il tè e mi sedetti accanto a lei.

"Sono così spaventata"

sospirò dopo dieci minuti buoni di singhiozzi. Non le risposi. Non potevo.

"Vado a dormire", mormorò lei improvvisamente.

Il sonno prese all'improvviso anche me, le mie palpebre si fecero pesanti. Crollai sul tappeto, e l'ultima cosa che sentii prima di addormentarmi fu il suono di una serie di piccoli piedi nelle vicinanze.

Mi sentii molto meglio il giorno successivo, come se l'intera faccenda fosse stata solo un sogno. Probabilmente non avrei creduto a ciò che avevo "sognato", se non fosse arrivata la madre di Lucy, chiedendomi se stessi dormendo da lei senza permesso o qualcosa del genere. Dopo aver fatto colazione, Lucy mi chiese perchè fossi così pallido e nervoso. Mi girai verso di lei e sorrisi, mormorando qualcosa, dicendo frettolosamente che non mi sentivo bene. Ma la verità era che ero spaventato perchè non riuscivo a vedere nessuna stringa, e mi chiedevo se le azioni che stavo compiendo fossero veramente decise da me.

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